“Sono Joe Biden. C’è una grande novità. Ho scelto Kamala Harris come mia compagna di corsa. Insieme a voi, batteremo Trump”. Così, in uno stringato messaggio ai suoi sostenitori, il candidato democratico alla presidenza ha annunciato la scelta della senatrice Harris come sua vice. Nella decisione hanno contato soprattutto tre cose. Kamala Harris è una donna. È una donna nera. Ha 55 anni, relativamente giovane. Biden e Harris appariranno oggi a Wilmington, Delaware, nel loro primo evento pubblico congiunto.
Alla fine Joe Biden ha quindi messo da parte dubbi ed esitazioni. Kamala Harris era la candidata più gettonata per il ruolo di vice, ma anche quella che aveva fatto sorgere significative perplessità. È la prima nera e la prima persona di origini indiane a entrare in un ticket presidenziale, e la quarta donna nella storia degli Stati Uniti a correre nelle più importanti elezioni nazionali. In un anno segnato dalla spaventosa crisi economica seguita al coronavirus, e da scontri razziali senza precedenti, Harris porta al campo democratico uno stile politico aggressivo e una storia personale e familiare che possono rivelarsi particolarmente utili contro Donald Trump. Considerata la sua età e il fatto che Biden sarà (l’eventuale) presidente di un solo mandato, Harris è anche la candidata più certa per il partito democratico nel 2024.
Nata a Oakland, California, da madre immigrata dall’India e padre giamaicano (entrambi accademici), Harris è stata avvocato, poi procuratrice distrettuale di San Francisco, quindi attorney general della California. È senatrice dal 2016, con una storia politica di sinistra moderata – si è battuta per un percorso di cittadinanza per gli immigrati illegali, per l’estensione dell’assistenza sanitaria, per la legalizzazione delle droghe leggere e l’aumento delle tasse per ricchi e corporation – piuttosto simile a quella di Joe Biden. Il suo “realismo politico” è emerso durante le recenti primarie democratiche, quando Harris si è presentata, proprio contro Biden, per ottenere la candidatura alla presidenza. In quell’occasione, Harris disse che “una strategia politica non è un bel sonetto. Una strategia politica deve essere applicabile”.
Proprio le primarie appena trascorse sono state l’occasione di uno scontro durissimo tra Harris e Biden. Durante un dibattito presidenziale, la senatrice attaccò Biden per la sua passata opposizione al busing (la pratica di ridurre la segregazione razziale a scuola, portando i bambini in autobus al di fuori dei loro quartieri di residenza). “C’era una ragazzina che veniva portata a scuola in autobus ogni giorno. Quella ragazzina ero io”, disse Harris, in un colpo che lasciò Biden interdetto e sollevò l’indignazione di molti democratici, per nulla contenti che le credenziali anti-razziste di Biden fossero messe in discussione. Alcuni parlarono di un “agguato” e la moglie di Biden, Jill, definì le parole della senatrice “un pugno nello stomaco”.
Quell’episodio è stato più e più volte considerato durante il processo di scelta della vice. Per alcuni tra i più stretti collaboratori di Biden – per esempio Christopher Dodd – l’attacco dimostrerebbe un cinismo politico e una preoccupante assenza di scrupoli da parte di Harris, tali da renderla poco affidabile. C’è stata un’altra obiezione che alcuni hanno avanzato: Harris sarebbe troppo “lanciata” verso le presidenziali 2024, passerebbe quindi i prossimi quattro anni non a collaborare come vice ma a costruire la sua prossima avventura presidenziale.
Alla fine Biden – che ha tenuto per sé la scelta finale – ha deciso altrimenti. Ha deciso di mettere da parte rancori e screzi personali, privilegiando quello che Harris può portare di nuovo e significativo al ticket presidenziale. Quindi, anzitutto, c’è la storia personale, che fa di Harris il simbolo di un’America sempre più diversa e multirazziale. In secondo luogo, c’è il tema di genere. Le donne, soprattutto le donne nere, sono uno tra i gruppi elettorali più fedeli ai democratici, e Biden ha bisogno che vadano a votare in largo numero il prossimo 3 novembre. Scegliere Kamala Harris è un segno di attenzione e di riconoscimento storico verso questo elettorato. Nell’anno dell’omicidio di George Floyd e delle manifestazioni anti-razziste, scegliere una nera ha poi un’altra dimensione simbolica forte – tanto più che Harris ha in queste settimane sfilato accanto ai manifestanti e preso posizione per la riforma delle forze di polizia e per rendere il linciaggio un crimine federale. C’è infine il carattere di Harris – tagliente, ironico, aggressivo – che risulterà prezioso nella prossima, infuocata campagna presidenziale e che può controbilanciare in modo efficace la flemma del 77enne Biden.
Pochi minuti dopo l’annuncio della scelta di Harris, la campagna democratica ha fatto girare tra i giornalisti un memo che vuole proprio sottolineare la vicinanza personale e umana tra i candidati. Il memo cita Beau, il figlio di Biden, morto per un tumore nel 2015, e ricorda come Beau e Kamala Harris abbiano lavorato insieme quando entrambi erano procuratori distrettuali, uno in Delaware e l’altra in California. “I due si sono avvicinati mentre combattevano contro le banche – riporta il documento -. Attraverso la sua amicizia con Beau, Kamala è arrivata a conoscere Joe Biden. Grazie alle parole di Beau, e vedendola combattere, Joe è rimasto impressionato da quanto forte Kamala possa essere”. Anche tra i repubblicani la reazione è stata immediata. Il partito di Trump ha una linea molto chiara di attacco: quella di dipingere Harris come una pericolosa radicale, le cui posizioni di estrema sinistra finiranno per avere il sopravvento sul moderato Biden.
La linea è già stata chiaramente espressa proprio da Donald Trump, che ha subito accusato Harris di estremismo in campo ambientale, sanitario – “è a favore della medicina socializzata” – e fiscale – “vuole aumentare le tasse” -. “Era la mia scelta numero 1”, ha proclamato Trump, lasciando intendere di essere soddisfatto per una scelta che porterebbe i democratici su posizioni così estreme Significativamente, Trump ha anche accennato alla presa di posizione particolarmente dura di Harris nelle audizioni al Senato di Brett M. Kavanaugh, il giudice della Corte Suprema accusato di molestie sessuali. Harris è stata “cattiva” nei confronti di Kavanaugh, ha detto Trump, anticipando un tema che potrà avere peso in campagna elettorale: quello di genere, che già nel passato il presidente ha cavalcato con attacchi apertamente sessisti.
Se la scelta di Kamala Harris è storica e mostra quanto ormai sia necessario, per i democratici, aprirsi a nuovi e diversi settori della società, non mancano i dubbi e le critiche. Harris non è una scelta che piace alla sinistra del partito – anzi, tra tutte le candidate prese in considerazione in questi mesi, la senatrice della California era quella meno amata dai progressisti. Da procuratrice legale della California, si ricorda la sua politica di arresti indiscriminati per reati legati al consumo di droghe leggere e la scelta di difendere in un tribunale californiano la pena di morte (nonostante lei, personalmente, sia contraria alla condanna capitale). E nonostante nelle ultime settimane sia scesa in campo a favore di chi manifesta contro la brutalità della polizia, Harris da attorney general non mise mai in discussione il comportamento particolarmente violento della polizia contro le minoranze. Mai, non una sola volta, fece partire un’indagine o un procedimento amministrativo contro un agente. C’è anche chi fa notare che, durante le scorse primarie, Harris non abbia davvero brillato per capacità di raccogliere consensi elettorali. Harris, secondo i critici, non avrebbe un vero movimento politico alle spalle (a differenza di Elizabeth Warren, altra considerata per la scelta di vice); e, secondo alcuni sondaggi, non pare destinata a sollevare particolare entusiasmo proprio tra gli afro-americani.