Ich bin ein Ravellener. Così ha esclamato Frederik Vreeland, un ragazzo arzillo di 93 anni, ex ambasciatore, uno degli ultimi testimoni della Guerra Fredda, il consigliere più ascoltato dell’allora presidente John Kennedy, fu lui a suggerire l’iconica frase Ich bin ein Berliner. Ore 5 del mattino, silenzio surreale, il maestro Jordi Bernacer solleva la bacchetta, buca l’oscurità, la magia si rinnova. Come ogni anno, all’alba il Concerto Principe del Festival di Ravello si ripete. Sul palcoscenico più bello del mondo, quello del Belvedere dell’antica Villa Rufolo, sospeso fra il cielo stellato e il mare, l’Orchestra Sinfonica del Massimo di Salerno esegue sonorità spagnole datate inizio secolo dai nomi evocativi: El amor Brujo e La Danza del Molinero. E quando le note del pianoforte del compositore Javier Perianes si diffondono le prime luci dell’alba delineano all’orizzonte la silhouette della costiera, era il sentiero caro agli dei. E il cielo comincia a tingersi di rosa. Un concerto da tutto esaurito e wainting list per una poltronissima last minute. Per esigenze da protocollo sanitario, la platea di 700 posti è stata ridotta a un terzo.
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Non voglio perdermi la suggestione del concerto e, poco prima delle cinque, mi connetto in live- streaming per il bello della diretta. Lo seguono da tutto il mondo: in sovrimpressione una pioggia di commenti: viva L’Italia… Che luce, che mare, che musica… E ancora: suggerimenti di pace da rivolgere a Beirut, una polveriera con schegge di guerre civili conficcate nel cuore del Medio Oriente tutto (siamo tutti libanesi). E per dirla con le parole di Khalil Gibran: “Per arrivare all’alba ( e alla rinascita) non c’è altra via che la notte”. La palpebra sta per cedere, ma resisto. E’ o no il Festival della Resistenza.
Le ultime note aleggiano ancora nell’aria mentre in piazza si spande il profumo di cornetti fumanti e cappuccino nocciolato. La colazione è servita.
Applausi ad Alessio Vlad, il direttore artistico del Festival, che lo ha dedicato alla memoria di Ennio Morricone, in un batter d’occhio ha messo su un cartellone superlativo. Mentre gli altri Festival si chiedevano lo facciamo o non lo facciamo, Vlad ha giocato d’anticipo, si è acchiappato i big e ha vinto la scommessa.
All’inaugurazione ha voluto lo zar della bacchetta Valery Gergiev, una leggenda vivente, che a San Pietroburgo dirige ben tre orchestre sinfoniche per il totale di oltre 300 elementi. Era emozionato il maestro, era il suo primo concerto post lockdown. Ha una grazia nel dirigere, volteggia le mani come ali di farfalle. Quattro i bis concessi a furor di popolo di viscerali musicomani. Non si perdeva una nota, vestito rosa schoking, il melomane Roberto D’Agostino con consorte Anna Federici. Che bello vederli a Ravello dopo tanto tempo. Adesso si aspetta il maestro Riccardo Muti, il primo settembre, per il beethoviano Inno alla Gioia. Più benaugurante di così.