Troppo spesso si è esaltato un movimento sicuramente in crescita ma ancora lontano dalle rivali internazionali: alla formazione di Gasperini e al tecnico però non si può rimproverare niente. Anzi, è stata l'unica ad andare oltre le sue potenzialità. Prima tecnicamente e poi economicamente, la A è ancora indietro. Ora l’Inter, attesa alla vera prova del nove, resta l'unica speranza per alzare un trofeo dopo un decennio di digiuno
Per 89 minuti è stata in semifinale di Champions League. Per 89 minuti l’Atalanta aveva estromesso dal più prestigioso torneo europeo una corazzata economica come il Psg. Ma il risultato finale dice chiaramente che su cinque partecipanti alle coppe europee, la Dea è la quarta italiana che esce dopo solo una partita. Un ruolino deludente per il nostro pallone, che non alza un titolo internazionale da dieci anni, mettendo insieme dal 2010 appena due finali di Champions League e un’infinità di pessime figure in Europa League. Alla formazione di Gasperini e al tecnico però non si può rimproverare niente. Anzi, è stata protagonista di una grande cavalcata (all’esordio assoluto nella competizione). Le delusioni arrivano piuttosto da altre squadre e da altri ambienti. Troppo spesso, infatti, sulla stampa si è esaltato un calcio italiano sicuramente in crescita ma ancora lontano dalle rivali europee. Alla fine tutte le analisi fatte alla vigilia si sono rivelate sbagliate. Prima tecnicamente e poi economicamente, la A è ancora indietro. L’unica squadra che gioca un calcio davvero “europeo” (offensivo, verticale e tecnico) è l’Atalanta. E non è un caso che sia stata l’unica ad andare oltre le proprie potenzialità, mettendo in difficoltà squadre enormemente superiori. L’Inter, l’unica italiana rimasta, ha ben impressionato contro Getafe e Bayer Leverkusen, ma ha anche rispettato il pronostico. È comunque una nota di merito, in attesa delle sfide davvero toste e decisive.
L’Atalanta stava per fare l’impresa grazie alla rete del più “gasperiniano” dei bergamaschi. Quel Mario Pasalic, passato dall’essere uno scarto di Milan e Chelsea a elemento capace di segnare 12 reti in una singola stagione. Prima del croato infatti Bergamo è stata la città dove gente come Gomez, Zapata, Ilicic e Cristante sono riusciti a consacrarsi definitivamente. L’illusione di avercela quasi fatta ha solo aumentato l’amarezza. Alla fine le reti in pieno recupero di Marquinhos e Choupo-Moting sono valse al Psg la seconda semifinale di Champions League, dopo quella del 1995, quando i parigini furono eliminati dal Milan di Fabio Capello. La vittoria di Neymar e compagni non era scontata, ma non sorprende nemmeno: rientra nella legge del più forte ed è meritata. Basti solo pensare che Pasalic è costato 15 milioni. Esattamente 1/15 di quanto è costato Neymar al Psg (222 milioni al Barcellona nel 2017). Questo per rendere meglio l’idea di quanta sia la differenza tra le società che ieri sera si sono affrontate a Lisbona. I soldi fanno la differenza nel calcio moderno? Non totalmente, ma certo aiutano parecchio. Aiutano, ad esempio, ad acquistare i giocatori più forti ed esperti nel panorama mondiale. E non è un caso che a salvare il PSG siano state proprio queste due caratteristiche: tecnica ed esperienza, oltre a un pizzico di fortuna.
Prendiamo il caso della Juventus, la vera delusione di questa ultima parte di 2019/20. Guardando i singoli c’erano pochi dubbi su chi dovesse accedere ai quarti. La distanza oggettiva che separa Juventus e Lione e tutti erano convinti che, in un modo o nell’altro, i bianconeri ce l’avrebbero fatta. I francesi venivano però dal vantaggio di 1-0 conquistato all’andata e affrontavano una squadra che ha mostrato limiti profondi e ha vinto il campionato più per i demeriti delle avversarie che per meriti propri. Eppure la solitudine di Cristiano Ronaldo contro il Lione ha fatto rumore e ha messo in mostra il fallimento di una rivoluzione sarriana fatta di disattenzioni difensive e possesso palla, spesso sterile. Udinese, Sassuolo e Milan erano stati campanelli d’allarme, eppure in pochi li avevano voluti ascoltare. Almeno in ottica Champions League.
Una sopravvalutazione generale che ha coinvolto anche Roma e Napoli. I giallorossi non erano più forti del Siviglia, squadra di grande esperienza e detentrice del record di titoli in Europa League. Inoltre non veniva da un campionato entusiasmante e il passaggio di proprietà da Pallotta a Friedkin potrebbe anche aver giocato un ruolo negativo sulla concentrazione dei ragazzi di Fonseca. Si pensava a una partita aperto. In alcuni casi si è parlato anche di Roma favorita. E invece la vittoria degli andalusi non è mai stata in discussione, con i giallorossi incapaci di creare il ben che minimo problema. Dopo l’1-1 dell’andata, invece, il Napoli è uscita a testa alta dalla sfida del Camp Nou, ma possibilità di vittoria non ce ne sono mai state. Alla luce di alcuni scivoloni dei blaugrana nella Liga, si pensava che gli azzurri di Gattuso potessero farcela. L’eccessiva enfasi che ha accompagnato il Napoli verso il ritorno degli ottavi non ha tenuto abbastanza conto che la Champions è un’altra storia e dà altre motivazioni. Sopratutto a giocatori come Messi o Suarez.
Indipendentemente da quello che farà l’Inter in Europa League (contro lo Shakhtar Donetsk si avranno le prime vere risposte sull’effettivo livello raggiunto dai nerazzurri) bisogna prendere consapevolezza che il calcio italiano è a un buono punto ma ancora lontano da quello delle principali avversarie europee. Senza cadere in facili illusioni. La strada per tornare il calcio dominatore degli anni ’90 è ancora lunga.