Confesso che il referendum in programma a settembre sulla riduzione del numero dei parlamentari mi lascia tutto sommato alquanto indifferente. Sarebbe in effetti opportuno che le energie venissero dedicate a ben altri temi, specie in un momento delicato come quello che stiamo vivendo.
Covid, cambiamento climatico, disoccupazione, equità fiscale e sociale, integrazione dei migranti: tutti temi davvero di portata epocale sui quali deve svolgersi una discussione approfondita, se necessario aspra, che sappia indicare alla società italiana adeguate prospettive di sviluppo nel contesto europeo, apparentemente caratterizzato da un certo recupero del valore della solidarietà, e internazionale, sempre più all’insegna di un benefico multipolarismo fuori da alleanze che oramai hanno fatto il loro tempo.
Ovviamente il tema della democrazia fa parte integrante di questa prospettiva. Una democrazia che va rafforzata, radicandola nei territori e combattendo le divisioni in seno al popolo tentate da raggruppamenti razzisti o sedicenti sovranisti.
Certamente, lo spettacolo che hanno dato le istituzioni parlamentari negli ultimi decenni non è stato molto positivo. Basti pensare all’indegna genuflessione davanti a Silvio Berlusconi avvenuta proclamando che Ruby era effettivamente la nipote di Mubarak. O, più di recente, ai mariuoli miserabili beccati colle mani del sacco dei 600 euro che avrebbero dovuto avere per destinatari persone realmente bisognose (ma quanti altri professionisti e imprenditori benestanti ne hanno fatto uso? Sarebbe opportuno pubblicare una lista a esaustiva, altro che privacy). Per non parlare dei molteplici episodi di corruzione di cui la classe politica continua a rendersi protagonista.
Non sono tuttavia affatto sicuro che il rimedio sia costituito dal taglio dei parlamentari. Si tratta infatti di un rimedio che ricorda troppo la storia di quello sventurato che decise di tagliarsi gli attributi per fare dispiacere alla moglie.
L’idea di fondo di questo referendum risponde in effetti più alle esigenze di marketing pubblicitario di una forza politica nata all’insegna della contestazione antisistema, ma che ben presto ha dovuto drasticamente ridimensionare le sue aspettative in questo senso, che a un organico e razionale disegno di riforma e rilancio della rappresentanza.
La reazione di molti, specie politici di professione può d’altronde apparire, come autorevolmente sostenuto sul Fatto da Giangiacomo Migone, la manifestazione di un “risveglio della corporazione dei politici di professione”, specie quando allora si tratti di transfughi del referendum renziano giustamente respinto con ampia maggioranza del popolo italiano.
L’impressione, insomma, è quella di trovarsi in trappola, in una falsa alternativa rappresentata da due posizioni entrambi gravemente insufficienti, che eludono, come accennato, i problemi veri del Paese. L’ennesimo teatrino messo su da politicanti vecchi e nuovi a esclusivo beneficio loro.
La democrazia non si misura certo dal numero dei parlamentari, quanto dal loro effettivo collegamento col Paese e dall’esistenza, al di là del Parlamento e dei suoi problemi, di una rete di democrazia partecipata che passa attraverso il territorio e le organizzazioni sociali.
Dal primo punto di vista è quindi auspicabile un immediato ritorno al proporzionale puro senza soglia di sbarramento che garantisca la libera espressione di tutte le tendenze politiche e di opinione (fatta ovviamente eccezione per i fascisti) presenti in Italia, mediante altresì un sistema elettorale che consenta il legame diretto coi collegi. In secondo luogo vanno messe a punto nuove forme di organizzazione dei lavoratori e dei cittadini, in grado di organizzarli intorno ai bisogni sociali effettivi. In questo senso voglio dare il benvenuto alla Lega dei braccianti proposta da Aboubakar Soumahoro, che si propone di varare nuove forme di unità programmatica intorno alla filiera essenziale per eccellenza, quella del cibo, e dà adeguata espressione alla nuova composizione multietnica della classe lavoratrice italiana.
Un altro segnale positivo è la richiesta di primarie per individuare il candidato a sindaco di Roma, formulata dall’eurodeputato Massimiliano Smeriglio e da altri, affinché il popolo possa decidere chi è destinato a governare la città più grande e problematica del nostro Paese.
Segnali, non tanto piccoli, che ci dimostrano come la democrazia sia oggi la più grande questione all’ordine del giorno e come certe proposte siano solo fake solutions. E come infine non ci si possa limitare a difendere l’esistente ma occorra imboccare decisamente la via della controffensiva per riscattare le istituzioni, a tutti i livelli, dallo stato di passività e di irrilevanza cui sono state consegnate dalle sprovvedute classi politiche degli ultimi decenni.