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“Tracce di coronavirus nelle ali di pollo surgelate”: allarme in Cina. Ma l’Oms: “Nessuna prova che il cibo si possa contaminare”

La denuncia arriva ancora dalle autorità di Shenzhen per un carico arrivato dal Brasile. Ma gli esperti ribadiscono: "Non c'è nessuna prova che la catena alimentare partecipi alla trasmissione del virus". Anzi, secondo uno studio, quella del "cibo contaminato" è una delle fake news più frequenti

di F. Q.

Tracce di coronavirus sono state scoperte in ali di pollo congelate importate dal Brasile in Cina. Almeno così dicono le autorità di Shenzhen, la città del sud del Paese in cui sono stati effettuati i test. Le confezioni sono state testate dalle autorità sanitarie locali nell’ambito degli screening di routine delle importazioni di cibo. Il governo locale di Shenzhen ha dichiarato che tutte le persone che potrebbero essere entrate in contatto con il lotto infetto sono state sottoposte a tamponi, così come i prodotti alimentari conservati vicino ad esso, con soli risultati negativi. Il giorno prima, i media statali cinesi avevano riferito che il coronavirus era stato trovato nella città orientale di Wuhu sulla confezione di gamberetti congelati importati dall’Ecuador. Entrambi i casi hanno sollevato il timore che le spedizioni di alimenti contaminati importati dall’estero possano causare nuovi focolai di Covid-19.

Notizie che però contrastano con le evidenze scientifiche: “Dal punto di vista del coronavirus, il nostro cibo è sicuro. Non c’è nessuna prova che la catena alimentare partecipi alla trasmissione del virus” dice il direttore del programma emergenze dell’Oms, Mike Ryan. “Ci sono tanti altri motivi per cui la nostra catena alimentare deve essere controllata e deve essere sicura, ma dal punto di vista del coronavirus le persone non devono avere paura del cibo, delle confezioni o della consegna”, ha sottolineato Ryan, ribadendo un concetto ormai mandato a memoria da mesi.

Anzi, quella del “cibo contaminato” è una delle fake news più frequenti tra quelle raccolte da uno studio internazionale coordinato dall’università del New South Wales in Australia e pubblicato sull’American Journal of Tropical Medicine and Hygiene. Fake che hanno portato addirittura a decessi in almeno 800 casi.

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