Vietato cambiare le carte in tavola altrimenti torna lo spettro della revoca della concessione. E’ il succo del messaggio inviato via facebook dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio ai Benetton, nel giorno del secondo anniversario del crollo del ponte Morandi. “Per questo si è raggiunto un accordo per allontanare i Benetton dalla gestione di Autostrade. Ma se qualcuno pensa di tornare sui propri passi troverà sempre la nostra resistenza. Vigileremo costantemente, quotidianamente. La revoca rimane sul tavolo, non è mai stata esclusa. Giustizia sarà fatta definitivamente solo quando i Benetton saranno totalmente fuori da Aspi. Lo Stato ha il dovere di tutelare i propri cittadini, ha il dovere di mettere in sicurezza il Paese. Lo stato deve dimostrare di esserci. Sempre”, ha scritto Di Maio. Sulla stessa linea il presidente del Consiglio Giuseppe Conte che ha fatto il punto sullo stato delle trattative in un’intervista a La Stampa.”Stiamo lavorando senza sosta, anche in questi giorni. Rimangono da definire molte questioni di dettaglio. L’importante – ha sottolineato Conte – è che siano rispettati tutti gli impegni assunti da Aspi e da Atlantia con la lettera del 14 luglio scorso. Il procedimento di contestazione a suo tempo aperto si chiuderà solo quando verranno apposte tutte le firme ai relativi accordi. Al momento, sono due i tavoli tecnici in corso, quello per riscrivere la concessione e quello che riguarda il nuovo assetto della società”.
L’ipotesi originaria, Cdp al posto dei Benetton – Lo scorso 14 luglio sembrava fatta, o almeno quasi. E invece no perché come si sa il diavolo sta nei dettagli e qui di dettagli ce ne sono a bizzeffe. L’accordo di un mese fa prevedeva una graduale uscita della famiglia Benetton dal controllo e della gestione di Autostrade. La famiglia veneta possiede il 30% di Atlantia, quotata in Borsa, che a sua volta ha in mano l’88% di Autostrade. I Benetton hanno insomma il 30% dell’88% di Autostrade, vale a dire il 27% circa. Di questo 88% il 33% sarebbe dovuto passare a Cassa depositi e prestiti, “braccio armato” del ministero dell’Economia. Un altro 22% avrebbe invece essere ceduto da Atlantia ad altri azionisti graditi a CDP, forse il fondo F2i, Poste o altri investitori istituzionali come il fondo australiano Macquaire o il quello statunitense Blackstone. Ad Atlantia sarebbe restato il rimanente 33%, circa il 10% di Autostrade sarebbe rimasto quindi ai Benetton che si impegnavano però a cedere poi gradualmente anche questa partecipazione residua. Tutta l’operazione avrebbe dovuto essere realizzata attraverso un aumento di capitale, in sostanza emissione di nuove azioni che riducono la partecipazione di chi già ne possiede e portano soldi freschi nella società.
Da subito si presentano i primi problemi. Il più importante: quanto è disposta a pagare Cdp per rilevare la quota dei Benetton? Ma anche: come reagiranno gli altri importanti investitori presenti sia in Atlantia (Fondazione CRT, il fondo sovrano di Singapore, la banca HSBC) che direttamente in Aspi (il fondo sovrano cinese Silk Road e il colosso assicurativo tedesco Allianz)? Iniziano le trattative che si mostrano da subito assai complesse. Naturalmente il succo della questione sono i soldi, ossia il valore attribuito all’azienda, con ovvie conseguenze per i Benetton e a cascata per tutti gli altri azionisti.
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La rottura di inizio agosto, Aspi andrà a chi paga di più – Martedì 4 agosto, la svolta. Atlantia invia una lettera al governo in cui annuncia lo stop alle trattative con Cdp, tutto l’88% di Aspi in mano ad Atlantia sarà ceduto al miglior offerente. Se vuole comprare, Cdp può mettersi in fila con gli altri, che potrebbero essere anche investitori stranieri. La holding ha ritenuto insostenibili le condizioni poste da Cdp, tra cui ci sarebbe stata anche una esenzione delle responsabilità per qualunque incidente si fosse potuto realizzare sull’infrastruttura nei prossimi 4 anni. Condizione che non sarebbe stata parte dei patti siglati in origine con il governo. Secondo la holding partecipata dai Benetton, inoltre, la vendita diretta rispetterebbe la sostanza dell’intesa con il governo poiché, anche in questo modo, la famiglia veneta uscirebbe da Autostrade. Tuttavia la cessione secca della partecipazione, senza aumento di capitale, lascerebbe la società con meno risorse a disposizione per implementare il promesso piano pluriennale di investimenti da oltre 14 miliardi di euro. Non è escluso che qualora Atlantia dovesse davvero vendere Aspi sul mercato un terzo della quota possa essere comunque riservata a Cdp.
Nel piano di Atlantia esiste anche una seconda ipotesi diversa più che nella forma che nella sostanza per cui l’88% di Autostrade verrebbe inglobato in una società a parte da quotare in borsa diventando quini contendibile. Il cambio di rotta di dieci giorni fa non ha interrotto le trattative tra le due controparti ma, per ora, nessuno sembra disposto a cedere terreno sui punti critici. Per il prossimo 3 settembre è in agenda un consiglio di amministrazione di Atlantia che si annuncia molto caldo. A maggior ragione dopo le dichiarazioni di oggi di Giuseppe Conte e Luigi Di Maio che hanno anche provocato un nuovo calo del titolo della società a piazza Affari.