Le organizzazioni in difesa dei diritti umani stanno raccogliendo le prime testimonianze dei giovani imprigionati per aver partecipato alle manifestazioni contro la rielezione del presidente Lukashenko. Ma per le famiglie è quasi impossibile rintracciare i loro cari finiti dietro le sbarre
Ore, giorni interi senza cibo e acqua, in balia delle manganellate e delle violenze dei secondini, senza la possibilità di dormire. E per le ragazze anche stupri di gruppo punitivi. I racconti dei manifestanti incarcerati e poi rilasciati dalle carceri bielorusse, nel corso delle proteste contro la rielezione del presidente Aleksandr Lukashenko, parlano di vere e proprie stanze della tortura, buchi neri dai quali solo una parte dei 6.700 finiti in cella negli ultimi cinque giorni è uscito, seppur con traumi fisici e psicologici che difficilmente potranno superare.
A raccogliere i racconti dei manifestanti sono le associazioni in difesa dei diritti umani, in particolar modo Viasna e Amnesty International, e i media indipendenti come Tut.by e Meduza, oltre che il canale Telegram dell’opposizione Nexta. “I centri di detenzione sono diventati camere di tortura, dove i manifestanti sono costretti a giacere per terra mentre la polizia li prende a calci e li picchia con i manganelli”, dice Marie Struthers, direttrice di Amnesty International per l’Europa orientale e l’Asia centrale.
Uno dei centri finito sotto la lente per le numerose violazioni dei diritti umani riferite dai testimoni è il Centro di Isolamento di via Akrestsin a Minsk, dove sono stati rinchiusi la maggior parte dei manifestanti. È qui dentro che una giovane ragazza è stata imprigionata e, racconta, stuprata dalle guardie: “Mi hanno picchiata, umiliata, mi hanno tolto le mutandine, mi hanno detto che mi avrebbero violentata e che nemmeno mia madre mi avrebbe riconosciuta alla fine del trattamento”, ha rivelato in lacrime e ancora scossa, con la sua testimonianza che è diventata virale su Twitter.
Non è la sola a offrire un quadro di ciò che avviene dentro il centro di via Akrestsin. I racconti dicono che l’unica colonna sonora dell’istituto sono le urla dei prigionieri, con giovani completamente sotto shock, che non riescono a parlare in preda a pianti ininterrotti, e feriti che deambulano a mala pena. Solo i più fortunati, o i più gravi, vengono caricati su ambulanze e trasportati negli ospedali cittadini.
Ma non è solo la situazione di Minsk a preoccupare: “Dove si trovano le persone detenute è una bella domanda. Noi stessi non sappiamo esattamente dove vengono portate”, dice Valentin Stefanovich, attivista per i diritti umani di Viasna. “Nel centro di via Akrestsin, come sappiamo dalle persone che sono già state rilasciate, ci sono 30, 40, 50 e anche 60 persone in celle progettate per quattro o otto persone”, ha detto Valdis Fugash, rappresentate di Human Constanta, un’altra ong attiva in Bielorussia. La ricerca dei propri cari passa allora per le chat Telegram, visto che ottenere risposte dalle autorità è quasi impossibile.