L’Europa arranca sullo sviluppo della fibra. E l’Italia fa anche peggio. Per la società di ricerca Analysys Mason, lo scenario non è dei più felici nonostante i tentativi di premere il piede sull’acceleratore. Con il nostro Paese che, secondo alcuni osservatori, sconta il mancato sviluppo della tv via cavo finalizzato a mantenere in vita il più a lungo possibile il duopolio Rai-Mediaset e il tentativo di Tim di allungare la vita del vecchio monopolio della rete in rame di sua proprietà. Due questioni politiche che hanno condizionato e stanno ancora condizionando il futuro del Paese che nelle ultime settimane ha visto il governo entrare a gamba tesa nella partita per cercare la quadra verso la realizzazione di una rete unica.

Il tentativo di uscire dall’impasse – “I governi nazionali stanno aumentando gli investimenti in fibra, ciononostante lo sforzo è largamente insufficiente a raggiungere gli obiettivi”, si legge nello studio sull’Accesso alla fibra come infrastruttura strategica, datato giugno 2020. Secondo quanto ricostruito dagli esperti, “i Paesi europei stanno affrontando sfide eterogenee per realizzare i loro target – si legge nello studio, commissionato dalla società cinese Huawei – Dopo la liberalizzazione, le compagnie telefoniche di linea fissa hanno sviluppato il business della connettività. I regolatori del Vecchio continente hanno favorito la competizione sul mercato retail e i bassi prezzi sugli investimenti di lungo periodo. I governi nazionali hanno aumentato gli investimenti in fibra, ma non abbastanza per realizzare gli obiettivi indicati da Bruxelles”.

In Europa comunque non sono mancate diverse storie di successo. “In Svezia, ad esempio, la strategia dei “villaggi della fibra” ha garantito reti veloci fino a casa dell’utente nella maggior parte del Paese nonostante una morfologia complessa – si legge nel documento -. In Spagna sono state sviluppate infrastrutture di elevata qualità che, assieme ad una regolamentazione adeguata, hanno trasformato il Paese in uno dei leader nella banda ultralarga. In Francia, il piano nazionale per la banda larga ha introdotto un’efficace regolamentazione operativa, che ha migliorato la velocità di connessione”.

Ma in Italia le cose stanno andando diversamente. “L’incertezza sulla futura proprietà della rete si è rivelata un problema – spiega lo studio – Nel Regno Unito, l’entusiasmo commerciale per fibra a casa dell’utente può mascherare problemi futuri rispetto alla natura potenzialmente inefficiente degli investimenti effettuati. In Germania, il governo è ambizioso, fino ad oggi ma i progressi sono lenti”. Consola insomma il fatto che l’Italia non sia l’unica a non riuscire a far decollare la fibra fino a casa. In più, oltre all’aspetto morfologico, il Paese sconta anche vecchi problemi. Per il presidente di Open Fiber, Franco Bassanini, “il peccato originale italiano è l’assenza di una rete via cavo (solo la Grecia ha la stessa situazione), per via di lontane scelte politiche che hanno favorito Rai e Mediaset”, come disse chiaramente già nel 2015 durante il convegno Telco per l’Italia.

Penetrazione della fibra (Fttp) nei diversi Paesi europei. Fonte Analysys Mason

Il ritardo della tv via cavo… – Nel resto d’Europa la tv via cavo ha fatto da volano allo sviluppo della banda ultralarga. In Italia invece non è mai partita perché osteggiata da Mediaset, preoccupata dal fatto che l’apertura del mercato televisivo avrebbe ripartito diversamente il fatturato pubblicitario. Per tacere il fatto che la nascita della tv via cavo in Italia è stata anche osteggiata da una parte della sinistra cui il duopolio Rai-Mediaset ha assicurato per anni una visibilità notevole attraverso la lottizzazione della tv di Stato. Così è accaduto che il Paese ha iniziato a cumulare ritardi nello sviluppo delle reti di nuova generazione. Complice anche il tentativo di Tim di sfruttare al massimo il monopolio della rete in rame che arriva nelle case degli italiani.

…e il risultato: connessioni lente – L’impatto negativo di questa situazione di stallo emerge così oggi chiaramente da un confronto con i più importanti partner europei: secondo i dati di Ookla, società specializzata nel testare la rapidità di Internet, a giugno 2020 l’Italia aveva una velocità media di connessione di 64,42 Megabit per secondo, contro 144,61 della Francia, i 94,61 della Germania e i 141,22 della Spagna.

L’esperto: “Fatali le scalate e fusioni post privatizzazione di Telecom” – Le ragioni del ritardo italiano sono molteplici. “Una è sicuramente la riluttanza delle televisioni italiane, sia private che pubbliche, nei confronti di una nuova rete che avrebbe potuto fare concorrenza nella circolazione delle informazioni. Si pensi invece che in Inghilterra la rete in larga banda è stata la prima ad essere sviluppata in Europa, anche in seguito alla diffusione della tv via cavo che negli anni 90 ha fatto da traino”, spiega l’economista Maurizio Matteo Decina. “Senza dubbio poi le scalate e le fusioni successive alla privatizzazione di Telecom sono state fatali – prosegue l’esperto, autore del libro Goodbye Telecom – Le due operazioni (la prima Opa della Olivetti nel 1999 con successivo scarico dei debiti nel 2003 durante la gestione Pirelli dopo il cambio del codice civile che ha pienamente permesso i leverage buyout, e la successiva Opa del 2005 da parte della Pirelli) hanno caricato 35 miliardi di debiti venuti dal nulla su di una azienda sanissima che altrimenti avrebbe portato la fibra a casa di tutti gli italiani con 20 anni di anticipo. Dopo queste operazioni l’azienda è stata gestita solo esclusivamente in ottica finanziaria e non industriale, avendo come unico scopo quello di pagare gli interessi alla banche”.

A questo punto, non resta che chiedersi se l’Italia abbia ancora una chance per recuperare. “Ritengo che solo con una rete unica con un mix di tecnologie (dalla fibra fino al cabinet a quella fino a casa o al punto di distribuzione e al 5G) si possa rapidamente colmare il gap – precisa Decina – Da notare però che una rete in larga banda senza servizi e piattaforme nazionali a valore aggiunto (telemedicina, teledidattica, telelavoro….), tali da incrementare i posti di lavoro, non ha alcun impatto positivo sulla ripresa del Pil. Inutile che si parli di ripresa del Pil col digitale se non si è capace di realizzare piani adeguati”.

Ma il pallino è in mano al governo. “Difficilmente la situazione migliorerà visto l’atteggiamento della politica che sta lentamente trasformando l’Italia in una colonia digitale – prosegue Decina -. Oggi il 90% dei flussi informativi degli italiani su internet è gestito da motori di ricerca e piattaforme estere il cui unico fine è il profitto senza alcuna contropartita. Oltre a pagare pochissime tasse l’effetto negativo degli over the top è quello di ridurre i livelli occupazionali complessivi del sistema, con gravissimi danni sul prodotto interno lordo italiano”.

Per l’economista, “analizzando tutti gli errori ventennali che sono stati compiuti uno dopo l’altro, dalla maniera in cui Telecom è stata privatizzata alle scalate e fusioni ostili fino alla mancanza epocale di innovazione fino alle inefficienze del piano Open Fiber dove la fibra si ferma in mezzo alla strada, passando per la mancanza di adeguate piattaforme, si evincerebbe che il piano potrebbe essere proprio quello di far gestire le informazioni, il bene più prezioso di un Paese, da altri. In pratica, i contribuenti italiani pagherebbero a proprie spese più reti disarticolate ed inefficienti per far guadagnare gli altri”. Uno scenario inquietante che certamente non è nell’interesse dei cittadini e del Paese.

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