In Bielorussia è stato il giorno del grande confronto. L’annunciata e attesa grande ‘Marcia per la libertà’, che i media descrivono come la più grande manifestazione nella storia bielorussa, ha invaso pacificamente le strade di Minsk con decine di migliaia di persone – 100mila, secondo l’Afp – mentre in un vicino quartiere il contestato presidente Alexander Lukashenko arringava dal palco una decina di migliaia di suoi sostenitori, convocati per una contromanifestazione, chiamandoli a difendere l’indipendenza nazionale. Un braccio di ferro che si è consumato sotto l’ombra di un possibile intervento russo di ‘assistenza militare’, evocato non troppo velatamente da Vladimir Putin.
La grande marcia, preceduta sabato dal funerale del manifestante ucciso lunedì scorso negli scontri con la polizia, arriva simbolicamente a una settimana esatta dalle contestate elezioni presidenziali, che hanno consegnato, con l’80% di suffragi, il sesto mandato consecutivo a Lukashenko, ormai al potere da 26 anni. Nel giorno in cui Papa Francesco all’Angelus ha rivolto un pensiero alla Bielorussia con un “appello al dialogo, al rifiuto della violenza e al rispetto della giustizia e del diritto”, la grande folla lungo il grande Viale dell’Indipendenza ha srotolato un lungo nastro coi vecchi colori nazionali – bianco, rosso e l’emblema di San Giorgio -, ha innalzato migliaia di bandiere, palloncini, striscioni; ha cantato e scandito il mantra “Vattene!”.
La Marcia per la libertà è il punto culminante di una settimana di proteste, scontri e tensioni iniziata con la violenta repressione – almeno due manifestanti morti, oltre 6.700 arresti, feriti e notizie di pestaggi e torture da parte delle forze di sicurezza – e l’autoesilio nella vicina Lituania della candidata anti-Lukashenko, Svetlana Tikhanovskaya. Poi la violenza è diminuita, ma non la voce dell’opposizione, che venerdì ha proclamato alcuni scioperi. “L’ultimo dittatore d’Europa”, messo in un angolo da cui non riesce ad avere ragione della piazza, né con la forza né con atteggiamenti più concilianti, sabato ha chiesto aiuto a Mosca.
Dopo una conversazione telefonica sabato stesso, Lukashenko ha detto di aver ricevuto rassicurazioni da Putin, che avrebbe garantito il suo “aiuto” per “mantenere la sicurezza”, minacciata da forze “esterne”. Oggi lo stesso Cremlino, a seguito di una seconda telefonata, ha promesso di “assistere” se necessario la Bielorussia sulla base del “comune patto militare” che lega Mosca a sei repubbliche ex sovietiche. Un fantasma, quello dell’intervento russo, reso vivido dei recenti esempi di Ucraina e Crimea e si alimenta del presupposto che le varie rivoluzioni ‘colorate’ nell’Est europeo siano state guidate da forze oscure pilotate dall’estero.
“Cari amici, faccio appello a voi non perché difendiate me, ma perché, per la prima volta in un quarto di secolo, difendiate l’indipendenza del vostro Paese”, ha infatti esclamato un infervorato Lukashenko, apparso a sorpresa sul palco davanti ai suoi sostenitori – 50mila secondo la presidenza, 10mila al massimo secondo un cronista dell’Afp – arrivati per lo più in pullman a Minsk. E ha ribadito nel suo discorso che il voto contestato “non sarà ripetuto” e ha denunciato che la Nato starebbe “ammassando forze al suo confine occidentale”: un’affermazione, questa, ufficialmente smentita poco dopo da un portavoce dell’Alleanza. Intanto continuano le defezioni fra gli stessi funzionari dello Stato, con l’ambasciatore bielorusso a Brastislava che oggi ha detto di solidarizzare con “coloro che sono usciti nelle strade delle città bielorusse con marce pacifiche per far sentire la loro voce”.