Secondo le previsioni della Banca Centrale tunisina, la disoccupazione nel Paese aumenterà in pochi mesi di sei punti percentuali: dal 15% al 21%. Così le ong denunciano la mancanza di riforme e provvedimenti di Tunisi per contrastare la dilagante crisi economica che stimola le partenze: "Abbiamo semplicemente accettato di fare da guardacoste all'Ue"
“Sono solidale con gli italiani. Ma qui affrontare il problema dell’emigrazione significa trovare una soluzione per i nostri figli, i nostri fratelli, i nostri cugini che rischiano la vita. Allora cerchiamola insieme nel rispetto della dignità dei nostri Harragha”. Gli Harragha, in dialetto maghrebino “coloro che bruciano le frontiere”, per noi semplicemente “migranti”. Per Imed Soltani, presidente dell’associazione locale “Terre pour tous” a sostegno delle famiglie dei desaparecidos nel Mar Mediterraneo, sono invece i suoi nipoti. Da quando si sono imbarcati per l’Italia nel lontano 2011, Imed non ha mai più avuto loro notizie. Da allora l’attivista tunisino, tramite la sua associazione, si impegna a restituire alle famiglie i corpi di chi non ce l’ha fatta consentendo loro una degna sepoltura. Così è stato per la famiglia di Bilel Ben Mansoud, il ventiduenne morto annegato dopo essersi lanciato dal traghetto-quarantena Moby Zazà a largo di Porto Empedocle, nel tentativo di raggiungere la costa a nuoto.
Con l’obiettivo di attirare l’attenzione sulla ripresa dei rimpatri questa settimana a seguito della recente visita in Tunisia della ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese, l’associazione “Terre pour tous” ha organizzato l’11 agosto un sit-in di fronte all’ambasciata italiana. Tra i vari manifesti esposti di fronte alla sede diplomatica, un cartellone con le foto dei giovani tunisini dispersi in mare. Sopra le foto, una scritta gialla: “Dove sono i nostri figli?”. “Abbiamo cercato di ottenere risposte dal nostro governo ma non ne abbiamo avute. Simbolicamente, allora, ci siamo rivolti direttamente all’ambasciatore italiano. Chiediamo semplicemente di rispettare il diritto internazionale che non consente rimpatri di gruppo senza prendere in considerazione le richieste di asilo dei singoli”, spiega Soltani a ilfattoquotidiano.it. “Leggiamo sulla stampa italiana che è stato implementato l’accordo con il nostro governo, ma qui in Tunisia nessuno ce lo ha comunicato”.
Nel paese maghrebino, di emigrazione la politica parla poco. Dopo l’incontro con gli esponenti del governo italiano a inizio agosto, il presidente Kais Saied ha organizzato una visita simbolica nei locali della Guardia Costiera di Sfax e Mahdia, due dei porti delle partenze verso Lampedusa. Per il presidente eletto lo scorso ottobre 2019, dopo la morte di Beji Caïd Essebsi, con cui l’Italia aveva già firmato in precedenza accordi per facilitare l’espulsione dei migranti tunisini, “l’approccio della sicurezza non è sufficiente”. Kais Saied ha puntato il dito contro “la ripartizione disuguale delle ricchezze nel mondo” e l’incapacità dei governi locali che dal 2011 non sono riusciti ad affrontare una volta per tutte la crisi sociale ed economica che colpisce in prima persona i giovani delle regioni povere del sud e dell’entroterra, aggravata dall’emergenza sanitaria. “Si tratta innanzitutto di un problema interno”, ha dichiarato alla stampa. Secondo le previsioni della Banca Centrale tunisina, la disoccupazione nel Paese aumenterà in pochi mesi di sei punti percentuali: dal 15% al 21%. Ormai sono intere famiglie della classe media impoverita a tentare fortuna per mare.
In assenza di un governo in carica da dopo le dimissioni dell’ex premier Elyes Fakhfakh a metà luglio, è proprio al presidente Kaid Saied che si rivolgono i migranti tunisini attualmente in quarantena sulla nave “Azzurra”. In un video postato sui social network dal titolo Lettera al presidente, un gruppo di ragazzi si filma sul traghetto nel porto di Trapani per chiedere a Saied di annullare gli accordi per i rimpatri: “Siamo noi i tuoi elettori, noi ti abbiamo votato. E ora ci ritroviamo in queste condizioni”, ricordano. “Ho una casa e una famiglia, ma nessun lavoro, neanche un soldo. Perché?”, si chiede uno di loro. “Torneremo in piazza”, dicono.
Durante la campagna elettorale, infatti, il neoeletto presidente tunisino ha promesso di portare avanti battaglie a favore dell’occupazione giovanile e ha incontrato più volte delegazioni di giovani disoccupati dalle regioni marginalizzate di Gafsa, Sidi Bouzid, Kasserine e Tataouine. In queste zone hanno avuto luogo numerose manifestazioni negli ultimi mesi. Anche per questo il Forum tunisino per i diritti economici e sociali (Ftdes), che monitora i movimenti sociali nel paese, ha diffuso un comunicato in cui viene chiesto alla politica tunisina di non reprimere le proteste dei giovani, ma di ascoltare le loro richieste per porre rimedio alla disoccupazione crescente e a quella crisi sociale intrinsecamente legata alla migrazione interna, con l’obiettivo di evitare nuovi naufragi. Il Ftdes propone un “piano economico chiaro che possa far tornare il Paese a crescere e offrire nuovi posti di lavoro”.
Una situazione definita “un caos” anche dalla ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese, nel corso della consueta conferenza stampa di Ferragosto. Il Viminale ha infatti registrato una forte crescita degli arrivi di migranti nell’ultimo anno: sono 21.618 tra l’1 agosto 2019 ed il 31 luglio 2020 contro gli 8.691 del periodo 1 agosto 2018-31 luglio 2019 (+148,7%), con Tunisia (8.984) e Libia (8.746) come principali Paesi di partenza.
“Anche io ho votato per Kais Saied perché qualcosa cambiasse – spiega Imed Soltani -, ma il messaggio che sta passando è che la Tunisia accetterà nuovamente di fare da guardia costiera delle frontiere dell’Unione Europea. Nei suoi discorsi il presidente si rivolge all’Europa”. E aggiunge: “Siamo molto preoccupati per i 24 casi di coronavirus sul traghetto. Centinaia di persone vivono in uno spazio chiuso insieme a dei positivi, non sappiamo in quali condizioni. Il rischio di contagio è molto elevato. Chi se ne assumerà la responsabilità?”.
La polemica non riguarda soltanto l’Italia: a Melilla, l’enclave spagnola al confine con il Marocco, 800 tunisini sono bloccati da mesi in un centro di accoglienza dove non sono state prese le necessarie misure di sicurezza secondo Amnesty International. Ma le autorità spagnole rifiutano di procedere al trasferimento dei migranti di nazionalità tunisina verso la Spagna: un modo per far pressione sulla Tunisia, secondo le associazioni locali, per poter firmare un accordo per i rimpatri sul modello di quello con l’Italia. Il ministro dell’Interno spagnolo Fernando Grande-Marlaska ha confermato a fine aprile che il Paese procederà ad espellere i tunisini bloccati a Melilla “in tempi brevi”.