Foto, filmati e notizie dalle Dolomiti documentano quanto l’estate post-Covid abbia segnato una ripresa in grande stile dei cantieri per lo sci. A Cortina e dintorni, con la scusa delle competizioni internazionali e olimpiche del 2022 e del 2026, si procede sia al nuovo collegamento con l’area Cinque Torri e Sellaronda, sia all’ampliamento e al riallestimento delle nuove piste, con le conseguenze ambientali denunciate dagli attivisti di Mountain Wilderness e dal Cai.

Appena uno o due passi più in là (passi alpini, s’intende), in Alto Adige, il comprensorio delle Tre Cime festeggia ormai il nuovo impianto chiave Helmjet-Sexten, in vista del collegamento con Sillian/Thurntal, in Austria: il potente imprenditore Franz Senfter, che dallo speck si è riconvertito al turismo sciistico, resta in attesa di vedersi sbloccare, per vie giudiziarie o politiche, il vincolo ambientale sul tratto che consentirebbe d’allargare verso Padola e il Comelico, in Alto Cadore, il nucleo originale di un centinaio di chilometri di piste che godono di una splendida posizione, sotto le pareti più conosciute delle Dolomiti.

Non vogliono certo restare indietro gli imprenditori di una delle attuali aree leader dello sci europeo, l’Alta Badia, che così hanno deciso di rinnovare e ingrandire alcuni impianti, nonché di fare letteralmente il botto nell’invaso di Planac, importante bacino idrico per l’innevamento artificiale dei 130 km di piste intorno a Corvara. Vedere per credere il filmato della complessa distruzione di un blocco di basalto vicino a una curva della strada che porta al passo di Campolongo: siamo nel cuore del Patrimonio dell’Umanità proclamato dall’Unesco ormai più di dieci anni fa, in una cornice che dovrebbe pur essere tutelata persino da una Fondazione ad hoc.

Guardate queste riprese che esaltano l’ammirevole “explosives engineering” di chi ha fatto implodere, con mille e 900 kg di esplosivo seppelliti divisi in tante barrette, le antichissime pietre vulcaniche sotto il prato di Planac. Ricordate bene che siamo dinanzi a una delle aree paesaggisticamente e geologicamente più particolari del gruppo del Sella (le cosiddette “facies eteropiche” del margine sudorientale), una splendida costruzione di cime che si è modellata lungo 270 milioni di anni e che è stata sfregiata da pochi decenni di assedio dello sci e degli impianti, come e più di quanto abbia potuto la Prima Guerra Mondiale.

Tra gli orrori visibili a tutti ci sono, appunto, alcuni giganteschi bacini d’improbabile colore azzurro pallido, da cui i cannoni spara-neve possono attingere l’acqua, perché, oltretutto, il Sella è un’area priva di una rete idrografica di superficie, con calcari molto permeabili e un’intensa attività carsica, dove anche le acque di fusione vengono riassorbite.

L’Alta Badia, peraltro, storicamente è una valle dove pionieri del turismo furono cacciatori e locandieri che racimolavano fossili da vendere ai primi viaggiatori-esploratori dell’Ottocento. Gli efficientissimi eredi di oggi, alcuni pure sensibili all’ambiente come Michil Costa, dopo un lungo e straordinario sviluppo turistico, con tanto d’impennata dei valori immobiliari (ormai tra i più alti d’Italia), devono fare i conti anche con un dissesto vistoso, tra frane e crolli anche recenti, sotto lo splendido Sass dal Crusc come ai piedi del Crep de la Sela, vicino alla cascata del Pisciadù.

Per non dire delle inquietanti trasformazioni sociali nelle aree legate allo sci, che ancora l’ultimo noto esempio post-covidico illumina (un giovane manager del marketing turistico “dimissionato” dopo la denuncia dei carabinieri di Badia per “violazione sistematica della quarantena”, caso che ha coinvolto la sua famiglia e altre 34 persone).

La pista che ha reso celebre nel mondo questa zona si chiama Gran Risa, grande riga, e dicono che il nome risalga all’utilizzo di questa spaccatura naturale per far scivolare il legname. Ecco, forse è ora di tirare almeno una piccola riga sul modello di sviluppo dei soldi facili in Alta Badia, come a Cortina o sotto le Tre Cime.

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