La nave turca Oruc è per la seconda volta in pochi giorni partita alla volta della Zona economica esclusiva ellenica scortata da dieci fregate, mentre la Kemal Reis si è mostrata accanto alla nave da ricerca Barbaros che si trova nella Zee di Cipro
È di nuovo risiko nell’Egeo: questa mattina la nave turca Oruc è per la seconda volta in pochi giorni partita alla volta della Zona economica esclusiva ellenica scortata da dieci fregate, con l’allarme rosso scattato ad Atene. Subito si è riunito il Consiglio dei capi di stato maggiore mentre il premier Kyriakos Mitsotakis ha interpellato il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, e il ministro degli Affari Esteri, Nikos Dendias, ha informato telefonicamente i suoi omologhi di Germania e Cipro. Il rischio è che nulla cambi in attesa di un episodio fatale, mentre le diplomazie di mezzo mondo si sono mosse senza però un risultato concreto.
Nelle stesse ore la fregata Kemal Reis, che fino alla scorsa settimana scortava la nave sismologica Oruc Reis, si è mostrata accanto alla nave da ricerca Barbaros che si trova nella Zee di Cipro, a est dell’isola: lo ha annunciato il ministero della Difesa turco. La Kemal Reis era stata coinvolta nell’incidente con la fregata ellenica Lemnos, che aveva manovrato per evitare una collisione frontale.
E mentre il Segretario di Stato americano Mike Pompeo ha chiesto ad Ankara di stemperare la tensione, da ieri la Turchia ha emesso un nuovo Navtex che estende la presenza della Yavuz nella Zee cipriota. La nuova direttiva è valida fino al 15 settembre 2020. La contromossa di Nicosia si è concretizzata in un contro-Navtex secondo cui la Turchia è coinvolta in “attività non autorizzate e illegali della piattaforma di perforazione Yavuz e delle sue navi di supporto nella Zona Economica Esclusiva e nella terraferma della Repubblica di Cipro”.
Una sfida, quella di Erdogan, che non segue le raccomandazioni alla distensione giunte da più parti, con le parole dell’Alto rappresentante Ue per la politica estera, Josep Borrell, che da ultimo ha invitato Erdogan a “porre fine immediatamente a queste attività e di impegnarsi pienamente e in buona fede in un ampio dialogo con l’Unione europea“. Nelle stesse ore i legislatori statunitensi hanno sollecitato l’amministrazione Trump a lavorare a stretto contatto con l’Ue per imporre sanzioni alla Turchia in relazione alle sue azioni in mare, definite come “crescenti aggressioni”. Il senatore Robert Menendez ha inviato una lettera a Pompeo chiedendo chiarezza nei messaggi che verranno inviati ad Ankara dal capo della diplomazia americana.
Intanto l’economia turca secondo Moody’s rischia la recessione e la Banca centrale turca non risponde più ai criteri finanziari ma solo ai desiderata di Erdogan per stimolare il mercato interno. Nonostante il Pil sia passato dagli 852 miliardi del 2017 ai 716 nel 2020, con la lira turca che ha perso il 22% del suo valore in 8 mesi, il ministro delle finanze Berat Akbayrak, genero del presidente, mostra ancora fiducia: ha dichiarato di aspettarsi che l’economia turca si muoverà tra il -2% e l’1%.
Una situazione sul filo di lana, poiché l’instabilità geopolitica causata da Erdogan nella macroregione euromediterranea, combinata con la dipendenza del Paese dai capitali stranieri, ha portato la Turchia alle porte del default. Entro giovedì prossimo il Ministero dell’Economia dovrà decidere se tagliare i tassi di interesse per sostenere l’economia o se aumentarli per evitare il collasso della lira. Quest’ultima sarebbe la mossa più logica, ma gli analisti sono preoccupati dalle continue interferenze di Erdogan nelle scelte tecniche che potrebbero condurre la Turchia a chiedere il sostegno del Fondo Monetario Internazionale. Infatti, senza un irrigidimento della politica monetaria al pari di un innalzamento dei tassi di interesse, il sistema-Paese potrebbe andare incontro a un mix esplosivo che influenzerà l’economia in modo significativo, aggravando le difficoltà recessive.