Cronaca

Rom, gli sgomberi sono una prova di forza per le elezioni. Ma Roma non ha bisogno di questo

È passata una settimana e il ricordo è ancora vivo: una novantina di agenti della Polizia Locale, una ventina di Carabinieri, dirigenti e funzionari del Comune di Roma, guardie della protezione animale, assistenti sociali dell’Ufficio Speciale Rom, giornalisti. Tutti stipati dalle prime ore dell’alba su un rettangolo asfaltato tra la Tangenziale e il fiume Tevere, lungo via del Foro Italico.

Il senso della grande operazione d’agosto lo rivelerà Virginia Raggi nella sua newsletter settimanale: “Sgomberato il campo rom in via del Foro Italico, un insediamento abusivo con baracche fatiscenti, bombole del gas pericolose, allacci illegali e privi di protezione. Tramite la Sala Operativa Sociale, è stato offerto aiuto alle persone fragili e realmente bisognose”.

È la “bufala” del caldo agosto romano, che dà forma alla propaganda di Virginia Raggi che la sera prima ha annunciato la sua prossima candidatura a sindaca della Capitale e che ha necessità di mostrare i muscoli, rivendicare scelte che prima di lei nessuno aveva avuto il coraggio di compiere, elencare numeri e risultati.

Dal 23 luglio scorso, quando dal Gabinetto della sindaca è partita la nota che ordinava la liberazione dell’area da persone al fine di procedere alla bonifica della vicina discarica, abbiamo seguito giornalmente la vicenda. Tutto nasce con un servizio del 2 giugno de Le Iene che mostra la spazzatura accumulata lungo le rive del Tevere. “Se ci mandi le immagini interveniamo a breve” è la risposta della Raggi a Filippo Roma che le indica su un tablet lo scempio ambientale. Per accedere alla discarica è necessario spostare l’insediamento presente dal 1991 e così viene deciso lo sgombero dell’area dove, secondo il censimento comunale, nell’aprile 2020 sono presenti 260 persone.

Eppure si tratta di un insediamento autorizzato dove il Comune da anni investe in servizi essenziali. Eppure ci sono famiglie con bambini che vanno a scuola. Eppure alcuni hanno la residenza da oltre 20 anni. Eppure c’è la legge dell’emergenza Covid che per evitare la dispersione incontrollata di persone ordina la moratoria degli sgomberi sul territorio nazionale. Eppure c’è un Comitato delle Nazioni Unite che vincola i Paesi a precise garanzie procedurali in caso di sgombero.

I primi a capire che gli “eppure” non hanno alcun valore di fronte alla forza muscolare di un’Amministrazione che fra 10 mesi dovrà misurarsi alle urne, sono gli abitanti che piano piano iniziano a lasciare le loro baracche disperdendosi nei parchi vicini, tra Villa Ada e Monte Antenne. Un esodo incontrollato che in tempi Covid sarebbe l’esatto contrario di quanto raccomandato dalle autorità sanitarie.

L’11 agosto, giorno dello sgombero, ad attendere la processione di Forze dell’Ordine, ci sono solo baracche vuote e 12 persone rimaste sul posto: anziani, malati, donne incinte. All’alba fa ingresso nel campo un massiccio flusso di uomini in divisa con al seguito rappresentanti comunali che non fanno nulla per celare soddisfazione con strette di mano e scambi di sorrisi. Le persone de campo sono solo un dettaglio.

Vengono identificate, sono abbattute le baracche vuote a colpi della ruspa, vengono rilasciate dichiarazioni trionfalistiche e scattati e selfie. Seguono nel pomeriggio i presidi della Lega prima e di Fratelli d’Italia dopo a cui si accompagna il consueto immancabile silenzio della sinistra romana. Gli ultimi ad andare via sono gli assistenti sociale della Sala Operativa Sociale delusi per l’inutile ruolo ricoperto: nessuna soluzione viene offerta alle 12 persone rimaste.

Al tramonto si tirano le somme: 12 persone ad occupare le baracche ancora rimaste in piedi, nessuno di loro è stato allontanato; 248 persone sparse nel raggio di un paio di chilometri nei nuovi insediamenti informali sorti come funghi; una legge nazionale sulla moratoria degli sgomberi calpestata; la discarica lungo il Tevere sulla quale, assicurano i tecnici “metteremo mano nelle prossime settimane”; la comunicazione della sindaca.

A Roma si avvicinano le elezioni e la comunicazione istituzionale è già scivolata in una propaganda dove sempre più baracche e container rappresenteranno il set di dichiarazioni e proclami.

Ma la Capitale non ha bisogno di “bufale” tranquillizzanti o di prove di forza tra chi il potere ce l’ha e chi l’ha sempre subito. Roma e le sue periferie, che rappresentano il contenitore di una sofferenza profonda, ha fame di scelte chiare ed efficaci, di visione politica, di pacificazione sociale. Parole prive di senso, che oggi cadono a pezzi, come le baracche vuote del Foro Italico sotto le ruspe del Campidoglio e che qualche candidato a sindaco, un giorno, sarà chiamato a rivitalizzare. Per evitare il baratro di una disumanità strisciante che forse più del Covid annienta esistenze orfane di senso.

Photo credits: Daniele Napolitano