A stare tanto tempo senza vedere i ragazzi, ecco cosa succede. Perdo invariabilmente colpi. Loro avrebbero saputo dirmelo subito chi è questa tiktoker di cui tutti parlano da giorni. Io, invece, vecchia cariatide che non sono altro, son dovuta andare a cercare in rete e leggermi gli articoli, altrimenti non avrei mai neanche capito i termini della questione. Che sono, in breve, questi. Gaia Bianchi, una fanciulla che per età potrebbe sedermi davanti nei banchi di scuola, ha manifestato il suo disappunto per la chiusura delle discoteche. Il che a sedici anni mi pare un pensiero condivisibile, eh.

Certo, magari se non ci si fosse accalcati dentro per settimane come anime dannate in un girone dantesco, sarebbe stato meglio, ma ormai. Nel condividere con i suoi followers l’amarezza pel destino cinico e baro, ha gettato alle istituzioni un guanto di sfida. “Caro governo – ha detto – se voi chiudete le discoteche, io non vado a scuola”. Intanto mi sembra una ragazza educata: io, per esempio, “caro” non lo dico praticamente più a nessuno, nemmeno al diario o a Babbo Natale. E poi mi pare anche che sia in grado di elaborare un periodo ipotetico della realtà, con l’indicativo nella protasi e nell’apodosi.

Nel mondo dei felini predatori da tastiera è stata prevedibilmente subissata di critiche fino alle immancabili scuse. Gaia, ascolta, io invece avrei una proposta, che qui dicono sempre che i professori criticano e non propongono. Visto che le classi non ce le spezzano, visto che ormai pare che se non c’è spazio ci mettiamo tutti la mascherina e via pedalare, ma perché ‘ste discoteche non le teniamo aperte e ci facciamo lezione? Tanto hanno già proposto musei, bed and breakfast, teatri, bocciofile e bioparchi. A questo punto andiamo in disco. Intanto ci andremmo tutti più allegri.

Poi, partiamo dall’inizio: fuori c’è il parcheggio. Conosco colleghi che partono alle cinque del mattino per parcheggiare a sei isolati dalla scuola, specie se è vicina ad altre, elementari o asili. A volte alle otto meno dieci li vedo disperati al cinquantatreesimo giro come a Monza, e poi lasciano la vettura in verticale su di un palo della luce per non avere la classe scoperta.

Inoltre: c’è il guardaroba. Che io a scuola mi trascino sempre appresso il cappotto e tre volte su tre lo dimentico in qualche classe, poi alle due devo fare il percorso al contrario per risalire al momento dell’abbandono. E poi nelle sale da ballo gli spazi sono grandi, decisamente più grandi delle nostre aule. Possiamo anche spostarci celermente grazie ai banchi a rotelle, e passare dalla sala del latino americano (ops, la II B) alla sala disco revival (la III C). Ma non sarebbe bello spiegare Cecco Angiolieri sotto la palla stroboscopica? Sarebbe piaciuta anche a lui.

E i cubi? Ci sono ancora i cubi? Benissimo, perché per fare geometria solida sono perfetti e al bisogno si può pure salirci sopra per cercare dall’alto il cappuccio della biro che quando cade poi rotola e scompare. La dotazione tecnologica, tra le luci, l’amplificazione e le consolle è decisamente migliore di quella degli istituti scolastici, neanche da fare il paragone.

Il privé va benissimo come sala professori, ci sono pure i divanetti che noi non avremo mai, nemmeno dopo essere scesi in piazza coi forconi e le torce. Mi ci abbandonerei con voluttà nell’ora buca, correggendo le verifiche con un bicchiere in mano. E a proposito di bicchieri. Nelle discoteche c’è il bar. E che bar. Mi sembra già un’ottima e di per sé sufficiente ragione per preferire la struttura danzereccia a quella scolastica. Non so, sarà una provocazione. Ma dopo tutto quello che ho sentito dire quest’estate, francamente, non mi sembra nemmeno la più campata in aria. Gaia, tu che dici?

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