Louis DeJoyalleato politico, amico, finanziatore di Donald Trump, ha dovuto rinunciare ai suoi piani che i critici hanno visto come un tentativo di boicottare il voto per posta, così come auspicato dal presidente. Ma i dem vogliono comunque che il postmaster general vada al Congresso a testimoniare
“Evitare anche solo l’impressione di influenzare il voto per posta”. Con queste parole, il capo dei servizi postali statunitensi (Usps), Louis DeJoy, ha annunciato la sospensione dei tagli previsti a personale e servizi. Polemiche, accuse, pressioni alla fine sono quindi servite. DeJoy, alleato politico, amico, finanziatore di Donald Trump, ha dovuto rinunciare ai suoi piani di riorganizzazione dei servizi che avevano provocato ritardi e proteste. “Difenderemo in ogni modo il diritto di voto degli americani”, ha commentato la speaker democratica dell Camera, Nancy Pelosi.
DeJoy – nominato postmaster general da Trump lo scorso 15 giugno, senza possedere alcuna esperienza nel settore – ha spiegato nel suo annuncio che gli orari degli uffici postali non cambieranno, non chiuderanno i centri di smistamento e non verranno rimosse, come previsto, centinaia di caselle della posta. In un primo tempo, i piani del postmaster general, duramente contestati dai sindacati, erano molto diversi. DeJoy pensava di sospendere gli straordinari, prepensionare migliaia di lavoratori, bloccare i turni di consegna straordinaria della posta.
La ragione dei tagli, spiegava DeJoy, era finanziaria. L’Usps è gravato da un debito di oltre 160 miliardi di dollari. Per i suoi critici, la riorganizzazione aveva invece una ragione chiaramente politica, volta a impedire a milioni di americani di votare, favorendo quindi i Repubblicani a novembre. Perché del resto procedere alla riorganizzazione ora, nel mezzo di una pandemia senza precedenti e alla vigilia di un evento elettorale in cui il voto per posta sarà centrale? I sospetti erano corroborati da alcuni elementi incontrovertibili. Donald Trump, nei mesi passati, ha più volte attaccato il voto per posta, che a suo giudizio favorirebbe i brogli. Un’opinione non suffragata dai fatti. Il database di News21 (un progetto di giornalismo investigativo dell’Arizona State University) ha individuato 2.068 casi di supposta frode elettorale tra il 2000 e il 2012. Le frodi direttamente collegate al voto per posta sarebbero solo 491.
Appellandosi proprio alle presunte frodi, Trump ha bloccato alcuni giorni fa una legge di stimolo economico che conteneva finanziamenti per 25 miliardi per le poste Usa. “Se non ci sono i soldi, non c’è il voto per posta”, ha commentato il presidente a Fox News. A quel punto è però scattata la reazione democratica, ma anche quella di molti politici e funzionari repubblicani che a livello locale, da anni, utilizzano il voto per corrispondenza. Almeno 21 Stati Usa – allertati dai servizi postali su possibili ritardi nella consegna delle schede elettorali – hanno minacciato di portare in tribunale DeJoy. Nancy Pelosi ha richiamato il postmaster general al Congresso e chiesto ai deputati di votare una legge per bloccare tagli e riorganizzazione. Mentre l’ispettore generale delle Poste ha annunciato un’indagine su DeJoy, centinaia di persone hanno organizzato sit-in di protesta fuori dalla sua casa di Washington.
Alla fine DeJoy ha dovuto cedere. L’impressione era che le sue scelte fossero di parte, studiate apposta per sabotare il voto per posta che i Repubblicani temono perché potrebbe aumentare l’affluenza al voto (soprattutto di neri e giovani). Il passo indietro di DeJoy non sembra però bastare. I democratici vogliono comunque che il postmaster general vada al Congresso a testimoniare, la settimana prossima, e confermano di voler votare una legge che faccia affluire nelle casse delle Poste miliardi di dollari, in modo da potenziare il servizio in vista del voto di novembre.
Non si sa esattamente quanti americani, nell’anno dell’emergenza Covid-19, ricorreranno al voto per posta. Il loro numero sarà comunque alto. Nel 2016 la percentuale di elettorato che aveva scelto di votare “in assenza” era stata del 22%. Quest’anno si supererà sicuramente quel dato e quindi l’efficienza dei servizi postali diventa essenziale. Molti Stati Usa prevedono che il voto per posta debba arrivare alle locali commissioni elettorali prima della chiusura delle urne, a prescindere da quando la scheda è stata inviata. Questo significa che qualsiasi ritardo nella consegna della posta porterebbe all’annullamento di migliaia di voti. Proprio per questo, nei giorni scorsi, l’Usps ha scritto ai singoli Stati, chiedendo che vengano messi dei limiti temporali alla possibilità degli elettori di richiedere le schede elettorali (almeno una settimana prima del voto). Diversi Stati hanno peraltro fatto partire campagne di sensibilizzazione, volte a chiedere agli elettori di richiedere con ampio anticipo la scheda elettorale. Tra le proposte girate in queste settimane, c’è anche la possibilità di prevedere punti ufficiali di raccolta delle schede, senza quindi dover ricorrere all’invio per posta.