Ventuno anni. Tanto era passato dall’ultima volta che una squadra italiana aveva raggiunto la finale del torneo. Allora non si chiamava nemmeno Europa League, era ancora la vecchia Coppa Uefa. Era l’edizione del 1999, quella del Parma di Malesani in panchina, e Veron e Crespo in campo, uno squadrone, che quel trofeo riuscì anche a conquistarlo. Da allora due decenni di colpevole assenza, e di figuracce, in quella che un tempo era la coppa delle italiane. Per questo la finale che l’Inter si giocherà venerdì 21 agosto a Colonia contro il Siviglia è per certi versi storica. Non solo per i nerazzurri, per tutto il calcio italiano.

Ci voleva il coronavirus per far riscoprire all’Italia, e a ben vedere anche all’Inter di Antonio Conte, l’importanza dell’Europa League. I meriti sono tutti dei nerazzurri, capaci di una crescita tattica e mentale nelle ultime settimane, culminata nella vittoria per 5-0 in semifinale con lo Shakhtar, il risultato più largo al penultimo atto della competizione. Ma chissà se le cose sarebbero andate alla stessa maniera se non ci fosse stato il lockdown, o anche soltanto se il torneo si fosse giocato nelle scorse settimane, in parallelo e non al termine del campionato.

Per anni le italiane hanno snobbato l’Europa League. C’è chi la definiva come un fastidio, chi giocava quasi dichiaratamente a perdere, chi semplicemente non ce la faceva a reggere il doppio impegno. Nessuno è esente da colpe: Napoli, Lazio, Roma, Milan, Fiorentina, la stessa Inter, persino la Juventus di Conte che nel 2014 sprecò in semifinale col Benfica la più ghiotta occasione di riportare il trofeo in Italia, con la finale che si sarebbe poi giocata proprio a Torino.

Quella, insieme alle semifinali perse nella stessa edizione da Napoli e Fiorentina, restava il miglior risultato raggiunto da una squadra italiana in Europa League. Competizione che vanta tra le sue vincitrici top club europei, come Manchester United, Chelsea, Atletico Madrid, lo stesso Siviglia, che all’estero tutti giocano al massimo delle proprie possibilità, e che l’Italia invece ha sempre trascurato, finendo negli scorsi anni anche per rimetterci posizioni nel ranking Uefa (e quindi posti in Champions League), prima della riforma che ce ne restituisse quattro.

Lo stesso Antonio Conte, in fondo, non faceva eccezione: a inizio stagione aveva apertamente dichiarato che l’Europa League non avrebbe rappresentato un obiettivo primario, che sarebbe stata l’occasione per far riposare i titolari e giocare chi in campionato trovava meno spazio. Adesso qualcosa è cambiato. Facile dire cosa: il campionato è finito, il sogno scudetto è sfumato, il primo ripiego della Coppa Italia pure e così a mister Conte, ossessionato dalla vittoria, non è rimasta che l’Europa, passata nel giro di pochi giorni da torneo di Serie B a obiettivo unico stagionale, al punto quasi da legare il suo futuro sulla panchina nerazzurra al risultato nella competizione. Ma forse c’è anche qualcos’altro.

L’Inter in Europa è diventata squadra, ha compiuto quel salto di qualità che non era riuscita a fare in tutta la stagione e che tanto amareggiava Conte. Ha capito che in queste partite da dentro o fuori, contro avversari internazionali (seppur non di primissimo calibro) ci si abitua alla pressione, ci si ricorda cosa significa vincere, parola che a Milano avevano dimenticato da troppo tempo. Adesso si è accorta anche che la finale di venerdì varrà diversi milioni di euro (una ventina circa tra premi Uefa, eventuale partecipazione alla Supercoppa Europea e diritti tv, spiccioli in confronto alla Champions ma comunque importanti per il bilancio), e soprattutto che un successo la proietterebbe dritta in prima fascia nella prossima edizione della Champions, cambiando completamente le prospettive future del club. In poche parole, l’Inter ha scoperto l’Europa League, e con lei tutto il calcio italiano. Adesso non resta che vincerla.

Twitter: @lVendemiale

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