Vengano i membri del comitato tecnico scientifico in classe a costringere i bambini di sei –sette anni a portare la mascherina”. La decisione degli scienziati, presa nel tardo pomeriggio di oggi di confermare la mascherina per tutti gli studenti sopra i sei anni qualora non fosse possibile assicurare il distanziamento interpersonale, non piace ai genitori, ai pedagogisti e nemmeno ai dirigenti scolastici. Nonostante si tratti al momento di una ipotesi, che il governo dovrà ancora vagliare e – nel caso – confermare.

Gli unici ad applaudire al Cts sono gli studenti delle scuole superiori. A storcere il naso di fronte al comunicato diffuso dagli scienziati è soprattutto il presidente dell’Associazione nazionale presidi, Antonello Giannelli, che nei giorni scorsi aveva sollevato la questione della responsabilità penale dei capi d’istituto in presenza di eventuali casi di contagio.

Il Cts in due righe ha chiarito che “le preoccupazioni dei dirigenti scolastici per eventuali responsabilità non hanno motivo d’esistere in base a quanto previsto dalla Legge 40 del 5 giugno 2020”. Parole rispedite al mittente da Giannelli: “Non riteniamo sufficiente quanto previsto dal decreto-legge 23/2020, convertito con modificazioni dalla Legge 40/2020. Tale innovazione riguarda esclusivamente la responsabilità civilistica di cui all’articolo 2087 del Codice civile ed è sicuramente apprezzabile ma, più di tutto, ci preme la revisione del profilo di responsabilità penale datoriale che incombe sui dirigenti scolastici, come da noi segnalato più volte, già da prima dell’insorgenza della pandemia”.

Ancora più esplicito il presidente della sezione Anp di Roma e del Lazio Mario Rusconi: “Essendo un Paese facile alla querela temiamo che di fronte al primo ragazzo contagiato possiamo passare per untori. Se un preside ha seguito e applicato tutte le indicazioni che ha potuto mettere in atto, qualsiasi cosa accada la magistratura non dovrebbe attivare un’azione giudiziaria nei suoi confronti”. Rusconi non nasconde le critiche nemmeno rispetto all’uso delle mascherine: “In prima e seconda elementare se un bambino se la toglie che fai? Gli metti la nota? Il compito più delicato l’avranno gli insegnanti ma di loro nessuno parla”.

La questione dei dispositivi di protezione manda su tutte le furie il pedagogista Daniele Novara: “Nel Cts non c’era un solo esperto di infanzia. Ci siamo affidati ad un medico che ha fatto carriera nella Protezione civile. Il sistema medico sanitario invece di aiutare la scuola a riaprire nel miglior modo possibile, continua a mettere ostacoli attraverso prescrizioni ingestibili e insostenibili. Provare la temperatura poteva servire ma la mascherina per sei ore è una tortura. Questa è retorica sanitaria, non ha più a che fare con la realtà. Ritorna il fantasma dei bambini untori che stermineranno i poveri nonni. E’ una litania inutile”.

A criticare la scelta di imporre la mascherina anche da seduti laddove non vi sia il famoso metro di distanza è anche Angela Nava, coordinatrice dei “Genitori Democratici”: “Basta stare mezz’ora con un bambino di sei anni per capire cosa si può fare e cosa no. La grande paura è che in Italia nasca una rinnovata sfiducia nella scuola pubblica. Serpeggia tra i genitori l’idea di abbandonare la scuola pubblica per ricorrere all’home schooling o altre forme di educazione”. Angela Nava punta gli occhi anche sul tema della refezione scolastica. Il Cts ha ribadito oggi che il “lunch box” deve rappresentare “una misura da attuarsi qualora le modalità di fruizione tradizionali non permettano di rispettare i criteri citati” ovvero il metro di distanza: “Molti dovranno ricorrere al lunch box ma il prodotto che esce dal lunch box è molto lontano dall’educazione alimentare; è precotto, spesso freddo”.

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