di Maurizio Donini
Il rapporto presentato dalla Ong Oxfam al World Economic Forum di Davos ha riscosso molto interesse, ma anche molta confusione sul significato, d’altronde in un mondo social dove ci si ferma ai titoli, in quanti si sono avventurati nella lettura delle 64 pagine in inglese di dati e interpretazione del Time to Care di Oxfam?
La maggioranza dei cittadini e anche di molti media si è fermata al discorso ricchezza, confondendo i dati assoluti con quelli relativi e il vero core dell’Oxfam report, ovvero la disuguaglianza. E’ persino banale ripetere che la ricchezza del mondo è su base piramidale e che l’1% della popolazione mondiale, per l’esattezza 2.153 miliardari, posseggono più del 60% della popolazione mondiale, ovverossia 6,9 miliardi persone. Estendendo l’analisi al 10% degli italiani con il maggior patrimonio, si scopre inoltre che possiedono più di sette volte la ricchezza detenuta dalla metà più povera dei cittadini del nostro paese.
Ma Oxfam non misura la ricchezza, bensì come questa è distribuita, con un indice di Gini (Corrado Gini statistico italiano di inizio secolo scorso) compreso tra lo 0,25 e lo 0,30; l’Italia si trova al 52° posto con un coefficiente di 0,360; dietro Tagikistan e Burkina Faso, poco sopra l’Azerbaigian. Questo non vuole dire che il Burkina Faso, paese poverissimo, sia in condizioni migliori dell’Italia, ma solamente che in quel paese la ricchezza è distribuita in maniera orizzontale e non verticale, esistono meno differenze di classe in parole povere.
La cosa non deve stupire, il concetto si trova già nel tomo che è alla base delle moderne costituzioni democratiche, Lo spirito delle leggi di Montesquieu esattamente al nel Libro Settimo dedicato al “lusso”. Supponendo che in un paese esista una legge che assicura a tutti solo il puro necessario, non esisterebbe il lusso che si fonda invece sul lavoro altrui, per cui avremmo una distribuzione perfetta della ricchezza. Ponendo l’ascissa a zero corrispondente al puro necessario, chi ha il doppio avrebbe un valore pari a 1; il doppio di quest’ultimo chiamerebbe 3; quindi 7, 15, 31 e così via di seguito.
Nella Repubblica di Platone esistevano quattro censi in base al reddito. Sono particolarmente interessanti i risvolti psicologici che scatenano il lusso e portano alla disuguaglianza, le grandi città favoriscono l’anonimato e quindi la voglia di possedere e mostrare beni per distinguersi dalla massa. Man mano che il numero di chi si distingue aumenta, in proporzione si rientra nell’anonimato, alimentando viepiù la voglia di lusso e di ricchezza.
Non si vuole con questo affermare che è necessario tendere alla povertà degna solo del puro necessario per riaffermare la disuguaglianza, ma conoscendone i motivi alla base è necessaria una legislazione che riequilibri il sistema. Riprendendo l’indice di Gini si nota che eccellono i paesi nordici con un sistema di welfare particolarmente protettivo, ad esempio i paesi scandinavi, la Germania e alcuni paesi dell’est (Slovenia, Slovacchia, Repubblica Ceca). Sicurezza sociale e scuola offrono maggiori opportunità ai meno abbienti ad esempio.
Altro fattore incidente è la bassa natalità che concentra l’eredità sempre in meno mani, mentre nel secolo scorso i lasciti venivano distribuiti tra più figli, ora è facile che esista un solo usufruttuario. Oltre incrementare la natalità, si rende necessario rafforzare il sistema di welfare e provvedere a sistemi fiscali volti a spostare la tassazione dal lavoro alle rendite, operando nel contempo una efficace lotta all’evasione per redistribuire il carico fiscale su una platea globale di contribuenti alleggerendo il carico sui lavoratori dipendenti.