Con un editoriale a sorpresa, il neodirettore di Repubblica Maurizio Molinari schiera il suo giornale per il no al referendum sul taglio dei parlamentari. E spiega, punto per punto, “perché votare no” in mancanza di una “riforma strutturale” del Parlamento. Un mantra condiviso dal direttore dell’Huffington Post Mattia Feltri, che in un articolo fa “appello ai costituzionalisti” per fermare la “riforma pericolosa” voluta dai 5 stelle e votata in ultima lettura anche dai dem. Poi c’è L’Espresso diretto da Marco Damilano, che il 28 giugno scorso ha dedicato un’intera copertina al “referendum truffa a cui dire no”. Così a un mese esatto dalla data in cui i cittadini saranno chiamati alle urne per il via libera finale, le testate cha facevano capo al gruppo L’Espresso di De Benedetti, oggi Gedi, sotto il controllo della famiglia Agnelli – si allineano per il no al quesito referendario. E prendono le distanze dalla linea del segretario del Pd Nicola Zingaretti (deciso a votare sì a patto che si riveda al più presto la legge elettorale), allontanandosi da uno dei temi forti della sinistra a cui Repubblica e L’Espresso hanno guardato per decenni.
La posizione delle testate Gedi – La sorpresa per i lettori del giornale fondato nel 1976, unica testata storica appartenuta alla famiglia De Benedetti che finora non si era schierata sul referendum, è arrivata stamattina in prima pagina. “La necessità di un taglio degli eletti in Parlamento è stata più volte sollevata in passato”, ammette Molinari, ma ora che la riduzione da oltre 900 a 600 parlamentari è a un passo, sono “molte e significative le lacune” create dalla nuova riforma costituzionale. Il giornalista elenca i motivi per cui, a suo dire, “indebolirà e non rafforzerà le istituzioni repubblicane”. Una linea anticipata solo poche settimane fa dall’Huffpost, dove nel frattempo continuano a fioccare i commenti dei blogger schierati per il no. “Non c’è una riforma sistemica, complessiva, nessuna idea per adeguare ai tempi il funzionamento della macchina legislativa“, ha scritto Feltri, sollecitando il Pd (che non è compatto per il sì) a chiarire la sua posizione. Ancora prima è stato Marco Damilano a fare da apripista, descrivendo il referendum come la “festa della Divisione e della Disunità, il trionfo dell’Anti-politica“.
I precedenti nella storia: da Bozzi a Iotti – Le testate Gedi, quindi, non solo entrano in rotta di collisione con la segreteria targata Zingaretti (quella che avrebbe dovuto ricucire il campo del centrosinistra dopo l’esperienza renziana), ma entrano a gamba tesa in un dibattito sui costi della politica che nella sinistra italiana è iniziato decenni fa. Il primo tentativo di tagliare i parlamentari risale al 1983, quando Camera e Senato diedero vita a una Commissione bicamerale, presieduta dal liberale Aldo Bozzi. La relazione conclusiva, approvata dalla Dc, dal Psi e da altri partiti (con l’astensione dei comunisti), prevedeva due ipotesi non troppo diverse dalla riforma attuale. Poi è stato il turno, nel 1993, della bicamerale De Mita-Iotti. La storica deputata del Pci, prima presidente donna a Montecitorio, in più occasioni parlò di una “necessaria” e “drastica riduzione” dei membri del Parlamento, da accompagnare a una più ampia riforma della Costituzione e a un “sistema elettorale che, senza umiliare il pluralismo politico, consenta un livello superiore di decisione politica”. Archiviato quel tentativo a causa dello scioglimento anticipato delle Camere, si arriva alla Commissione D’Alema del 1997, seguita da una lunga cavalcata tra proposte di legge e dibattiti in aula conclusi con la controversa riforma costituzionale targata Renzi (poi bocciata dagli elettori).
Quando Ezio Mauro sosteneva il “dimezzamento dei parlamentari” – Molti di questi tentativi, a differenza del referendum in calendario per il 20 e 21 settembre 2020 (in cui si voterà anche per il rinnovo di diversi Consigli regionali), non sono mai andati in porto. Ma negli anni il sostegno del quotidiano fondato da Eugenio Scalfari alla linea dei partiti di riferimento a sinistra non è quasi mai mancato. Nel febbraio 2008, il giorno dopo lo scioglimento anticipato delle Camere e la caduta del governo Prodi, l’allora direttore di Repubblica Ezio Mauro imputava alla destra (a Palazzo Chigi dal 2001 al 2006) di non aver “voluto due riforme essenziali per la governabilità e la legittimità del sistema: la riduzione del numero dei parlamentari (con la fine del bicameralismo perfetto) e la riduzione del numero dei partiti”.
Sempre Mauro – che oggi ritwitta l’editoriale di Molinari – nel febbraio 2013 suggerì al Pd appena uscito “non-vincente” dalle elezioni (cioè senza i numeri per governare da solo) di “sfidare” i 5 stelle nella “partita del cambiamento”, a partire da un “pacchetto che comprenda il dimezzamento del numero dei parlamentari, il superamento del bicameralismo perfetto, la riduzione drastica dei costi della politica, l’ abolizione dei privilegi”. Il tutto, unito ad altre misure per “i ceti più deboli”, aggiunse Mauro, “deve essere la piattaforma non solo politica ma identitaria della sinistra dopo la sconfitta”. Un mese dopo si espone anche lo stesso Scalfari: “Il percorso che Bersani dovrà seguire, concordato con Napolitano, si svolgerà su due piani”, spiegò in un editoriale poco dopo il pre-incarico conferito dal capo dello Stato all’allora segretario dem. “Il primo riguarda il programma di governo basato sugli otto punti già resi pubblici dall’incaricato; riguardano il taglio dei costi della politica, la diminuzione del numero dei parlamentari, la semplificazione degli apparati del Parlamento e soprattutto i provvedimenti necessari per la crescita economica”.
Le reazioni della politica – Tutte prese di posizione su cui oggi Molinari traccia una linea netta, dettando il nuovo corso del quotidiano romano. E dalla politica iniziano ad arrivare le prime reazioni. “Desidero esprimere il mio apprezzamento per la bella e coraggiosa presa di posizione del quotidiano la Repubblica a favore del No”, ha dichiarato in una nota il deputato di Forza Italia Osvaldo Napoli. “Molinari ha schierato la Repubblica, per la prima volta nella storia di quel giornale, fuori e lontano dal mainstream, in difesa della Politica e quindi della libertà, contro gli opposti populismi e contro la demagogia e la sua opera di seduzione”. Opinione condivisa anche dalla forzista Deborah Bergamini. “Molinari con il suo intervento rompe un silenzio assordante da parte dei principali media e dei giornali italiani”, dice. “Ora, però, sarebbe interessante capire cosa faranno gli altri giornali e cosa faranno il Pd e gli altri partiti: decideranno di inseguire la demagogia dei grillini o metteranno la Costituzione e la democrazia davanti a tutto?”.