Sarà per via di una strana proprietà fisica che crea una irresistibile attrazione tra i metalli di forgiatura dell’Europa League e i colori del Siviglia o forse l’Inter è ancora acerba per vincere: fatto sta che l’astinenza italiana da trionfi continentali prosegue. Poteva romperlo, quel digiuno, proprio l’Inter, che l’aveva aperto dieci anni fa vincendo la coppa più pregiata, la Champions, con Mourinho, Milito ed Eto’o: ma nulla, almeno per un altro anno il tricolore non campeggerà nell’albo d’oro delle massime competizioni calcistiche europee.

Vince il Siviglia, ancora il Siviglia che negli ultimi 15 anni ha fatto incetta di Europa League: sei, un record assoluto. Un peccato però per come la vittoria andalusa è maturata: 3 a 2 per i biancorossi con tre gol di testa. E prendere tre gol in finale da tre cross, due su palle da fermo e uno dal fondo è veramente troppo. È un regalo. Sì, va detto: l’ha un po’ regalata l’Inter questa finale, che sarebbe stato importante portare a casa non solo per arricchire l’albo d’oro nerazzurro, ma per tutto il calcio italiano che tra Europa League e Coppa Uefa manca da 21 anni dal gradino più alto del podio, da quando il Parma vinse nel 1999.

E avrebbero potuto vincerla i nerazzurri dopo un primo tempo spettacolare in cui sono passati in vantaggio con Lukaku su rigore prima, per poi essere raggiunti e sorpassati in entrambi i casi da De Jong di testa per andare all’intervallo sul pareggio con Godin. Balordo il gol del 3 a 2 andaluso preso su una punizione dalla tre quarti e autogol di Lukaku dopo rovesciata sbilenca di Diego Carlos lasciato solo.

Peccato, ma va preso il buono che arriva da questa esperienza per i nerazzurri: Barella ad esempio. Oggi è il miglior calciatore italiano: la testa di un veterano domina l’impeto giovanile e una fisicità esplosiva. Capace, a 23 anni, di spezzare il campo dopo che il Siviglia quasi segnava, e regalare a Lukaku l’opportunità di prendersi il rigore dell’uno a zero. E poi Lukaku, appunto, il secondo che merita una menzione speciale: arrivato nel dubbio del “riuscirà ad essere all’altezza di Icardi?”, si è elevato metri oltre l’argentino. Giocasse da solo, pure risulterebbe pericoloso. Certo, il format e le circostanze hanno influito, sarebbe disonesto non dirlo: l’Inter è una squadra che ha patito difficoltà durante la stagione, tra sfoghi di Conte, spesso esagerati, e “stecche” evitabili, in pochi, anche tra i tifosi la immaginavano su un podio europeo, quasi nessuno vincente.

E’ un dato da cui partire sicuramente: Barella, Lukaku e poi Godin, De Vrij, sicuramente Bastoni. Da rivedere Sanchez, lontanissimo dal giocatore in grado di spaccare le partite che i tifosi nerazzurri e gli sportivi in generale immaginavano, da sistemare anche la questione Conte: rispetto al passato non c’è paragone, l’Inter si è giocata uno scudetto e ha rischiato seriamente di vincere un trofeo internazionale, ma il nervosismo e le continue contrapposizioni contro la società, dopo un mercato comunque a cinque stelle non possono rappresentare il leitmotiv di un rapporto duraturo e soprattutto di un ciclo vincente. Ciclo che per un mix di inesperienza, ingenuità e sfortuna non si apre stasera, ma che, viste le basi, può aprirsi a breve: in Italia e in Europa.

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