Quando ci si interroga sui motivi che hanno reso possibile l’età d’oro della Rai, quella tra gli anni Sessanta e i Settanta (una domanda ricorrente specie nei giorni in cui va in onda Techetechetè), una delle spiegazioni più convincenti è quella che si concentra sul rapporto tra la televisione e gli uomini provenienti da altre, diverse esperienze artistiche.
A differenza di quanto accade ai nostri giorni, in cui chi fa televisione fa solo televisione, in una dimensione di specializzazione che sconfina nell’isolamento, la Rai di quegli anni coinvolgeva nei suoi progetti esponenti della letteratura, della carta stampata, del teatro e del cinema. Nanni Loy, che oggi ricordiamo a venticinque anni della sua morte, fu uno di questi, protagonista di uno tra i più interessanti e divertenti passaggi dal grande al piccolo schermo.
Loy era, alla metà degli anni Sessanta, un regista di un certo rilievo nel panorama del cinema nazionale, un rappresentante di quella moderata “nouvelle vague” italiana, che affrontava in modo nuovo e originale anche i temi più classici della nostra tradizione cinematografica. Aveva infatti realizzato nei primi anni del decennio due film sulla Resistenza, Un giorno da leoni e Le quattro giornate di Napoli, che attribuivano al mito resistenziale una dimensione di giovanile spontaneità.
Nulla lasciava presagire il suo approdo alla tv per dare vita alla versione italiana della “candid camera” già sperimentata con successo negli Stati Uniti. Ma questo era il bello di quella Rai, l’imprevedibilità, la capacità di coniugare il suo modello paternalistico democristiano con scelte divergenti. Così, con il suo Specchio segreto Nanni Loy mostrò le strane reazioni che la gente comune manifestava di fronte a situazioni anomale, inaspettate.
In una televisione in cui tutti, sia i professionisti sia coloro che improvvisamente diventavano personaggi pubblici, come i concorrenti dei quiz, dovevano sempre rispettare un codice di comportamento, un’etichetta, la famosa buona educazione, la sorpresa di vedere atteggiamenti assai meno controllati, reazioni brusche, imbarazzi e scorrettezze fu motivo di grande ilarità e di un certo interesse sociologico, non privo di qualche polemica.
Nanni Loy divenne una figura popolarissima, uno dei protagonisti di quel filone di neorealismo televisivo, di vera ricerca di un contatto tra il medium e la vita reale quotidiana della nazione. Poiché, come dicevamo, in quel tempo i passaggi dal cinema alla tv erano aperti, vere slinding doors, Loy tornò presto al cinema, realizzando, subito dopo il lavoro televisivo, il suo film più “cinema”, una storia emozionante di sentimenti e di coinvolgente attualità sociale, con attori di fama e grande successo di pubblico, Il padre di famiglia.
Ma l’esperienza televisiva non fu solo un episodio. Anni dopo si ripeté in un’inchiesta a puntate molto interessante Viaggio in seconda classe e lasciò le sue tracce in diversi film, tra i migliori della filmografia del regista, in cui riappare la curiosità e il gusto del paradosso scoperti nelle stravaganti situazioni create dallo Specchio segreto: Café express e uno strano musical napoletano, Scugnizzi, che scopre il disagio giovanile e le sue propaggini camorristiche molto prima dell’esplosione “gomorriana”.
Infine, se i miei 25 lettori permettono, un ricordo personale che risale a molto tempo fa, legato a un evento che ha avuto quest’anno molte celebrazioni per il suo cinquantesimo anniversario, lo scudetto del Cagliari. Era il 12 aprile del ’70 e da giovane studente di storia del cinema ero stato invitato (non so più per quali meriti o fortune) a un importante convegno organizzato dalla Pro Civitate Cristiana alla Cittadella di Assisi. Il tema era molto impegnativo, Libertà dell’autore, liberazione dello spettatore, partecipavano sociologi, psicologo, teologi, critici e registi.
Pasolini inviò un bellissimo intervento scritto, Bellocchio e Loy invece erano presenti. Nonostante la serietà del clima creata da un argomento così delicato e i vari scontri polemici, la domenica pomeriggio un bel gruppo di convegnisti si riunì in una sala attorno a una radio per seguire un’edizione storica di Tutto il calcio minuto per minuto. Se quel giorno il Cagliari di Gigi Riva avesse vinto con il Bari sarebbe stato campione d’Italia: una giornata particolare per tutti gli appassionati di calcio, ma qualcosa di più, di epocale per tutti i sardi.
Ovviamente, da tifoso, mi intrufolai nella saletta e quando il Cagliari segnò il secondo gol che sanciva lo scudetto, vidi apparire alle mie spalle Nanni Loy, cagliaritano e tifoso. Non esultava vistosamente, ma era proprio contento, aveva la stessa aria sorniona di quando in Specchio segreto lo scherzo del cornetto intinto nel cappuccino di uno sconosciuto era riuscito particolarmente bene.