Intervista a ilfattoquotidiano.it di Valentina, che insieme al marito è stata tra i primi casi di coronavirus in Italia. Racconta quei tragici giorni: dai primi sintomi al ricovero. Poi la lenta guarigione del marito, la scomparsa del suocero. E della situazione attuale dice: "Capisco la necessità di ripartire, però sarei andata più coi piedi di piombo con le riaperture. Forse anche perché ora sono mamma e voglio salvaguardare mia figlia"
Sono passati sei mesi da quel 21 febbraio che non dimenticheremo mai, soprattutto nell’ex zona rossa del Basso Lodigiano. La diffusione della notizia che a Codogno era stato accertato il primo caso di Covid-19 in Italia; le sue gravi condizioni; e nel giro di poche ore la scoperta che tantissime altre persone, in tutta la zona, manifestavano gli stessi sintomi. “Mattia è stato definito il Paziente 1, ma chissà quanti casi c’erano già in giro da tanto tempo, senza essere stati identificati”. A raccontarlo a ilfattoquotidiano.it è Valentina, la moglie di Mattia. Lo scorso febbraio, quando il marito si è trovato in fin di vita, era al settimo mese di gravidanza. Sei mesi dopo racconta quei giorni di difficoltà e dolore. Ma soprattutto, alla luce dei contagi di nuovo in crescita in Italia e non solo, fa un appello: “Usate la testa, fate attenzione. Oggi vedo troppa superficialità delle persone. Molti pensano che sia tutto risolto e invece non è così”.
Come ricorda i giorni immediatamente precedenti al 21 febbraio, prima che la situazione precipitasse?
E’ stato tutto normale, fino a quando Mattia ha iniziato a sentire i sintomi di una normale influenza. Era domenica ed è rimasto a casa perché si sentiva un po’ fiacco. Il giorno dopo, lunedì, non è andato neanche al lavoro. Il medico di base gli aveva confermato una classica influenza con febbre. Ci tengo a sottolineare che Mattia non è stato un incosciente, non è andato in giro o al lavoro con la febbre. Da quando ha avuto i primi sintomi dell’influenza non è uscito di casa. Di botto poi la febbre si è alzata e martedì siamo andati al pronto soccorso, perché non scendeva neanche con la tachipirina. I medici ci dissero che si trattava di una leggera polmonite, che nei soggetti giovani si poteva curare a casa con l’antibiotico. Eravamo abbastanza tranquilli, sarebbe dovuto restare a casa in malattia per una quindicina di giorni. La notte successiva, però, siamo dovuti tornare al Pronto Soccorso perché oltre alla febbre, altissima, era anche subentrata una tosse insistente. E l’hanno ricoverato.
Quando ha capito che la situazione era veramente grave?
Lui ha fatto la notte nel reparto di medicina, io la mattina seguente stavo già andando in ospedale per il corso preparto, pensavo di fargli una sorpresa, quando mi hanno chiamata per dirmi che era talmente grave da doverlo spostare in terapia intensiva. Lui peggiorava sempre di più, non si trovava la causa, era già intubato e i dottori chiedevano a me se ci fosse qualche informazione che potesse essere utile. E non so come mi è venuto in mente della cena con un amico che era stato in Cina (tra l’altro un mese prima di incontrare Mattia). Da lì si è scoperto che era Coronavirus e in seguito anche che l’amico era negativo e non poteva averlo contagiato lui. Ma se non mi fosse venuto in mente quell’episodio, non so come sarebbe andata.
È stata ricoverata al Sacco di Milano mentre Mattia era in rianimazione al San Matteo. Chi l’ha aiutata in quei momenti?
Io sono stata prelevata così com’ero e portata a Milano, la situazione era molto concitata e nessuno sapeva bene come muoversi. E’ stata una doccia fredda per me, per le nostre famiglie, ma anche per medici e infermieri. Io sono stata portata al Sacco, ero positiva ma asintomatica. La mia famiglia e quella di Mattia sono state messe in quarantena. In ospedale sono stata completamente isolata per due settimane, non potevo vedere nessuno. Gli unici contatti erano telefonici, con i miei genitori e con i medici speciali di Pavia, che sono stati davvero speciali e premurosi, che ogni mattina mi davano notizie sulle condizioni di Mattia.
Cosa le ha dato conforto in quei giorni?
Il conforto è arrivato dalla gente. Se l’1’% non ha capito la situazione e ci ha ritenuti colpevoli, pensando che siamo stati noi gli “untori”, il 99% mi ha dato grande conforto: amici, conoscenti, clienti del negozio di mia mamma, persone che non sentivo da anni. Mi hanno fatto sentire la loro vicinanza con un messaggio o un pensiero anche perfetti sconosciuti.
Come ricorda il giorno in cui le hanno detto che Mattia era fuori pericolo?
A dire il vero è stata una cosa lentissima e progressiva, non c’è stato un giorno in cui si sono sbilanciati, per questioni mediche mi dicevano sempre il minimo anche per non illudermi. Per tanto tempo ho sentito ripetermi: ‘Signora è stabile, è stabile, è stabile…’. Ho iniziato a realizzare che la situazione era migliorata quando è passato dalla terapia intensiva alla sub-intensiva, più o meno a metà marzo.
Poi è arrivata la vostra bambina. Mattia ha potuto stare al suo fianco al momento del parto?
Il 7 aprile è nata Giulia. Mattia è riuscito a venire in ospedale (aveva fatto parecchi tamponi, tutti negativi). Nonostante fosse ancora debole, ci teneva ad arrivare in forma alla data del parto. E anche se la piccolina ha anticipato di 12 giorni, è riuscito ad assistere e l’ha potuta tenere tra le braccia appena nata.
Oggi com’è la vostra vita? Siete tornati alla normalità?
Per Mattia la vita adesso è tornata assolutamente normale. Io in realtà vorrei un po’ più di privacy, ma penso che sia normale che quando usciamo la gente ci fermi, ci guardi. La bimba è super osservata, riconosciuta.
Dopo quello che avete passato, Mattia gravissimo e suo padre che è mancato proprio a causa del Coronavirus, come le sembra la situazione attuale?
Sicuramente vedo troppa superficialità. Capisco la necessità, anche economica, di ripartire, però noi l’abbiamo provato sulla nostra pelle il Covid-19. Sarei andata più coi piedi di piombo con le riaperture, forse anche perché ora sono mamma e voglio salvaguardare mia figlia. Penso che ci sia un po’ troppo libertà.
Qual è il suo appello, in particolare ai giovani, sei mesi dopo la scoperta del Coronavirus in Italia?
Usate la testa, ponete la giusta attenzione… che non vuol dire non poter far nulla! Non dico che ci si possa concedere tutto quello che facevamo prima. Ma con le dovute precauzioni si può andare a mangiare una pizza o incontrare gli amici all’aperto, cercando di non stare troppo vicini. Credo che molti pensino che tutto si sia risolto e invece no, non è così.