Non potevano mancare le Sardine alla santa alleanza del “no” contro la riduzione dei parlamentari che riconduce il numero degli eletti in Italia ai parametri numerici delle democrazie europee, ad un mese dal voto sul referendum che tutti invocavano da decenni, per inciso storicamente anche da sinistra, ma che è diventato un tabù in prossimità del referendum confermativo.

Tanto più, ovviamente, perché il promotore della Riforma è il Movimento 5 Stelle e dunque l’esito della consultazione pressoché scontato, nonostante la variopinta compagine dei detrattori della prima ora (pochini e silenti) e dell’ultima (decisamente più rumorosi e iper -rappresentati), costituirebbe un indiscusso successo per la forza politica più avversata di sempre.

Ricapitolare il percorso dell’approvazione della riforma finalizzata a ridurre il numero degli attuali 630 deputati a 400 e quello degli attuali 315 senatori a 200 limitandosi a modificare due soli articoli costituzionali il 56 ed il 57 (in modo più che parziale il 59) evidenzia chiaramente i ripensamenti, le giravolte, i mal di pancia, i “ni”, che hanno contraddistinto le forze politiche, basti pensare al Pd che votò “no” ai primi tre passaggi in aula, al consenso altalenante di Fi, ai leghisti assenti dall’inizio dei lavori all’ultimo passaggio alla camera.

Ciononostante la riforma è passata quasi all’unanimità lo scorso autunno. A seguire abbiamo assistito prima alla corsa dei senatori, verosimilmente più allarmati dalla riduzione degli scranni che dal “furto di democrazia” per raggiungere il fatidico numero dei 64 necessario a bloccare la riforma e ad indire il referendum confermativo: promozione bipartisan targata Pd (Tommaso Nanniccini) e Fi (Andrea Cangini) con il fattivo appoggio di Matteo Salvini.

Quindi alla costituzione del variopinto comitato per il “no”, composto “naturalmente” anche da parlamentari che avevano votato a favore come il pirotecnico Roberto Giachetti, approdato felicemente ad Italia Viva, ma al contempo inorridito contro “una riforma che offre lo scalpo del parlamento ai peggiori istinti dell’antipolitica”.

Per azzoppare e/o rimandare la consultazione referendaria il Comitato promotore per il “no” ha anche giocato la carta del conflitto di attribuzione davanti alla Consulta con l’argomento un po’ specioso della difformità di partecipazione al voto a livello nazionale ma la Consulta ha dichiarato inammissibili tutti e 4 i conflitti sollevati sull’abbinamento del referendum al voto per il rinnovo dei consigli regionali e ha così evitato slittamento del referendum e costi ulteriori ed ingiustificati per la collettività.

Dati i generalizzati comportamenti “contraddittori” per non dire schizofrenici della politica, durante l’iter parlamentare, sempre mirati a difendere le poltrone senza perdere la faccia e soprattutto il consenso, non c’è da stupirsi che a distanza di un mese dal voto i partiti siano schierati ufficialmente per il “sì” e facciano contemporaneamente campagna per il “no” sui social, come FI, o cerchino di mantenersi in equilibrio sul piano inclinato del “Ni”.

È quello che tenta di fare Nicola Zingaretti mettendo la sordina al referendum con la speranza che a votare vadano in pochi e che il distacco tra “sì” e “no” sia contenuto, visto che nel suo partito insieme alla “libertà di coscienza”, evocata anche da Berlusconi, aleggia la mobilitazione per il “no” che va da Matteo Orfini a Giorgio Gori.

Gli argomenti addotti in buona o male fede dagli avversatori della riforma sono noti, sempre gli stessi e accomunano “singolarmente” Angelo Panebianco alle Sardine. Il primo dalle pagine del Corriere già nei giorni dell’approvazione definitiva in aula tuonava che “il taglio dei parlamentari” giova solo ai “cultori dell’ antiparlamentarismo” che mirano al “depotenziamento massimo della democrazia rappresentativa” colpevoli di aver concepito “una riforma ineccepibile nelle forme, ma eversiva nelle aspirazioni”.

I secondi partendo dalla premessa inquietante che “parlare del referendum fa paura ma non si può tacere” hanno denunciato che con il taglio dei parlamentari “si mettono in discussione le fondamenta della democrazia parlamentare” e si indebolisce la centralità del parlamento e dunque del popolo”. Quanto al problema che riguarda i nostri rappresentanti non è il sovranumero come i populisti vogliono farci credere, ma la qualità del dibattito e della classe dirigente“.

Se possa essere eversivo e possa minare le fondamenta democratiche ridurre in modo ragionevole il numero di deputati e senatori, toccando limitatamente sotto un profilo numerico due articoli della Costituzione lo lascio valutare al buon senso dei cittadini elettori.

Quanto all’osservazione, leggermente scontata uscita dal pensatoio delle Sardine sulla qualità della classe dirigente vorrei rispondere con le parole di Guido Neppi Modona, già membro della Corte Costituzionale in vista dell’ultimo passaggio alla Camera: “La riforma può essere demagogica solo se si concentra sul risparmio, ma con meno posti i partiti saranno costretti a una selezione più rigorosa” in quanto “se non vigileranno su preparazione e moralità dei candidati saranno più facilmente penalizzati a livello elettorale”. E conseguentemente “il ruolo dei nuovi parlamentari sarà più rilevante di prima”.

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