SPECIALE CALCIOMERCATO - Madeleine: una data, un ricordo, un personaggio. La rubrica del venerdì de ilfattoquotidiano.it, che per l'estate 2020 è dedicata ai colpi estivi più o meno indimenticabili dei club di Serie A
Maradona e Careca da un lato, Van Basten e Gullit dall’altro, e poi Baggio, Mancini e Vialli. Ancora: Matthaus, Klinsmann e Brheme. Una parata di stelle la Serie A del 1990, e arrivare da neopromossa in quel gran ballo è motivo d’orgoglio per carità, ma da provinciale e senza possibilità di spendere miliardi tremano le gambe. E poi c’è stato il Mondiale: oltre alle grandi, già forti, pure gli altri si sono fiondati sui migliori talenti. Il Genoa ha preso Skhuravy, la Fiorentina Lacatus, il Cagliari Francescoli, il Bari Raducioiu. Ma il Mondiale è una vetrina prestigiosa e fa lievitare il costo degli articoli esposti: il “povero” Pisa a quelle botteghe care non può avvicinarsi.
E dunque? E dunque ci pensa Romeo Anconetani: prima faccendiere e in quanto tale radiato per un tentativo di illecito, poi consulente delle squadre, precursore assoluto della figura dell’agente col suo “5 per cento”, custode di un archivio di 40mila nomi di calciatori e relativa appetibilità basata sulla media voto dei quotidiani sportivi delle rispettive nazioni calcolata da lui stesso e infine “presidentissimo” del Pisa.
Un presidente h24, unico nel suo genere, che si porta persino l’occorrente per preparare da mangiare – in particolare la panzanella – ai suoi calciatori in trasferta. E l’abilità di tirar fuori grandi risultati con ingredienti poveri non ce l’ha solo in cucina Anconetani, che con pochi soldi compra campioni all’estero e li rivende bene, molto bene: è riuscito a portare sotto la Torre pendente Berggreen, la scarpa d’oro Kieft, Dunga. Certo qualche incidente di percorso l’ha avuto pure lui, vedi Caraballo, ma se Anconetani di se stesso dice che “a comprar stranieri nessuno è come me” non va molto lontano dal vero.
E nell’estate del ’90 Anconetani deve completare la rosa: prende il danese Larsen dal Lingby, dove aveva preso già Berggreen, il giovane e promettente Padovano dal Cosenza, affiancandoli al recordman di gol in B Piovanelli, a Dolcetti, Neri, Calori. Ma manca qualcosa, e Anconetani lo sa. Secondo i racconti – il più bello quello dello scrittore del Bar Lume Marco Malvaldi – all’ultimo giorno di mercato al presidentissimo arriva un fax dall’Argentina con dei nomi di calciatori sul mercato. E col suo curioso modo di parlare Anconetani dice: “Questo qui mi garba, ha la faccia decisa”. È il Diego Pablo Cholo Simeone, all’epoca al Velez Sarsfield. Pittoresco, romantico, ma difficile immaginare che davvero un giovane già nell’orbita della Seleccion – e nel mirino di Fiorentina, Verona e chissà quanti altri – venga preso con un dito.
E infatti il presidentissimo per prenderlo sborsa 1 miliardo e mezzo, cifra record per il Pisa. Pare ci sia anche il suo amico e connazionale Troglio dietro la scelta di Pisa: “Vai lì, ti troverai bene”. E quando arriva in tanti hanno la sensazione di aver davanti un predestinato: Lucescu, chiamato come direttore tecnico per affiancare l’allenatore Giannini, di lui dice: “Diventerà uno dei centrocampisti più forti d’Europa”. Non sbaglia, anche se servirà tempo per avere ragione. A Pisa si fa voler bene: non perde una messa. Dagli avversari un po’ meno: non perde un’occasione di entrare in tackle.
L’inizio è da favola: vittoria a Bologna all’esordio, vittoria alla seconda con gol del Cholo contro il Lecce, poi pari col Genoa e sconfitta di misura, e solo al 90esimo, col Napoli di Maradona. Poi va male, il Cholo è giovane, il Pisa pure e la serie A del 1990 non perdona il minimo errore: sconfitte pirotecniche, tante, pochi acuti e un gol alla Juventus per certi versi profetico su ciò che sarà la sua carriera. In quella stagione Anconetani aveva pescato un altro asso in Argentina a novembre: Chamot, a confermare l’occhio fine del presidentissimo. Ma i nerazzurri retrocedono: il Cholo resta anche in B, ma il Pisa non risale e lui cede alle sirene del Siviglia. Poi arriveranno le vittorie con Lazio e Inter e la nascita del cholismo in panchina. Una filosofia, quella cholista, che probabilmente poggia le basi proprio da quella esperienza in toscana, lontana da luccichii e con un presidente che si porta dietro gli ingredienti della panzanella.