Lavoro & Precari

Spostarsi al Sud per lavorare da remoto…e scegliere di restarci. E’ il “Southworking”, tra le incognite di settembre per l’economia delle città

Prende forma un nuovo fenomeno migratorio alla rovescia nell'epoca dello smartworking dovuto alla pandemia. Lavoratori e studenti che si sono tornati al Sud, dalle famiglie, nei mesi successivi al lockdown e ora ipotizzano di restarci grazie alle possibilità offerte dal lavoro a distanza, con l'obiettivo di ridurre i costi. Prime conseguenze per le grandi città del Nord, Milano in testa, in termini di indotto del lavoro: bar, immobiliare, affitti. Secondo gli esperti però le località del Centro-Sud hanno molto da fare per riuscire a sfruttare davvero questa occasione

Biglietto di sola andata. Quello che per tanti era sogno, o almeno desiderio, per qualcuno sta diventando realtà, grazie alle modifiche che la pandemia ha imposto al mondo del lavoro. Da qualche tempo si è iniziato a parlare di “South Working”, il lavoro al Sud, o meglio dal Sud. Schiere di professionisti, lavoratori e studenti che, dalle città del Nord, sono rientrati nelle terre d’origine e qui ora decidono di fermarsi grazie alla possibilità di lavorare a distanza. Stesso reddito, calato in un contesto dove il costo della vita è più basso. Un esodo di ritorno che comporta vantaggi anche per tutto “l’indotto” che ruota attorno al lavoratore: immobiliare, bar, ristoranti, palestre, servizi alla persona e quant’altro. Qualcosa di più di una semplice ipotesi, visto che nelle città del Nord, in vista dei rientri e della ripresa di settembre, si registrano le prime disdette di affitti e si levano le prime voci d’allarme.

L’allarme che suona al Nord – In questo momento, è difficile calcolare una perdita media del comparto in città, perché ogni quartiere fa storia a sé”, ha spiegato Carlo Squeri, segretario generale di Epam-Confcommercio. “In pieno centro, la perdita di fatturato per alcuni locali si può misurare nell’ordine del 75% e la situazione peggiore è legata alle attività diurne, proprio perché gli uffici sono chiusi e i dipendenti non escono a pranzo”. “Milano era una città nella quale circolavano tre milioni di persone al giorno, il doppio dei suoi abitanti”, ricorda il segretario di Epam. Oggi la città è dei milanesi, non dei turisti e non degli uomini d’affari. E nemmeno degli studenti, come appare chiaramente per chi si trova a frequentare quartieri come Città Studi. Un’assenza, quella dei fuori sede, che colpisce il settore della ristorazione non solo per quanto riguarda i mancati incassi, ma anche per l’offerta di lavoro, visto che lo studente che condivideva un appartamento in affitto era un target ideale a cui attingere per ristoranti, bar e locali notturni come collaboratore più o meno occasionale. Quello che sta capitando a Milano non è ovviamente isolato anche se in Italia è la città più colpita dal ‘south working’.

Esodo e contro esodo Secondo una stima de Il Sole-24Ore in 20 anni Milano ha guadagnato circa 100mila residenti provenienti da altre regioni d’Italia, soprattutto dal Mezzogiorno, e una parte consistente di questi, con la pandemia, è rientrata nella propria terra, continuando a lavorare online, ma non consumando più a Milano. Per contro lo Svimez ha stimato come negli ultimi 15 anni, due milioni di lavoratori, soprattutto giovani e profili qualificati abbiano abbandonato le regioni meridionali per spostarsi al Nord. Un esodo che naturalmente ha divaricato le distanze tra due aree del paese e che ora potrebbe, almeno in una qualche misura, ridursi. Una recente indagine condotta da Swg e centro studi Mediobanca ha mostrato tra l’altro come il 23% degli interpellati si attendono che lo smart working rimarrà lo stesso del periodo di lockdown o addirittura aumenterà mentre per il 57% diminuirà ma solo lievemente. Solo il 20% si attende un pieno ritorno alla situazione lavorativa pre-Covid. Del resto durante gli ultimi mesi le aziende hanno investito nel lavoro a distanza ed è verosimile che continueranno a sfruttarne gli aspetti più vantaggiosi anche una volta conclusa l’emergenza.

La portata del fenomeno: cambiamenti si, rivoluzioni no – Secondo gli esperti è però sbagliato indulgere in eccessivi pessimismi o, sul fronte opposto, ottimismi. Diversi osservatori hanno segnalato come il Covid sia destinato a lasciare tracce durature nel mondo del lavoro ma, probabilmente, non vere e proprie rivoluzioni. “Per le località del Sud e del Centro Italia è una grande opportunità – spiega a ilfattoqutidiano.it, Emilio Reyneri, professore emerito di sociologia del lavoro all’università Statale Bicocca di Milano – ma bisogna saperla sfruttare”. Per attrarre in modo permanente lavoratori, servono infatti anche una rete di servizi efficienti, dalla scuola alla sanità e alla rete di trasporti. “Sul piano tecnologico quella del lavoro a distanza è una soluzione praticabile senza particolari problemi e l’emergenza Covid ha fatto sì che si spezzassero alcune delle resistenze che le gerarchie aziendali mostrano sempre di fronte alle novità. Qualcosa è destinato a restare, anche una volta che saremo tornati a condizioni di normalità”, continua il sociologo che però aggiunge “attenzione tuttavia a non dimenticare un aspetto importante delle organizzazioni lavorative, ossia che le persone si devono incontrare fisicamente per condividere idee e scambiare opinioni”. Reyneri cita una battuta “la pausa caffè è spesso più importante della conference call” e fa l’esempio della Silicon Valley californiana, fucina di innovazione proprio per la prossimità fisica di aziende e lavoratori. Il lavoro a distanza è praticabile ma a patto di avere periodicamente incontri con i colleghi. Isolarsi avrebbe inevitabilmente dei contraccolpi in termini di prospettive di carriera e livelli produttivi.

Su quest’ultimo aspetto insiste anche la professoressa Chiara Saraceno, sociologa dell’università di Torino. Le opportunità del lavoro a distanza riguardano più le qualifiche basse (si pensi ai call center) e quelle molto alte e ben remunerate purché senza responsabilità di supervisione e organizzazione. Tutto ciò che sta nel mezzo, necessità di relazioni che non possono essere solo virtuali. Se si vive troppo lontano diventa quindi difficile e/o molto costoso conciliare i due aspetti dell’attività lavorativa.