Più soldi alle imprese, meno ai dipendenti, libertà di licenziare e via di “riforme strutturali”, richiesta dei prestiti Mes. E’ il succo del Bonomi pensiero consegnato in un’intervista a La Stampa in cui il presidente di Confindustria torna su temi già battuti in questi mesi, a cominciare dall’ennesima denuncia (quasi un’ossessione ormai) di un quel “sentimento anti impresa” che aleggerebbe nel paese e nei palazzi romani. Con questo approccio è ovvio che anche 100 miliardi di euro stanziati con il decreto agosto per il sostegno all’economia e i precedenti provvedimenti diventino “un timido segnale”. O che, a giudizio di Bonomi, il governo in sostanza non stia facendo niente o quasi. Peraltro smentendo così le considerazioni della sua stessa organizzazione sul successo del fondo di garanzia a cui hanno già fatto ricorso oltre un milione di Pmi. “Il traguardo di un milione di domande conferma la grande utilità di uno strumento che in questi mesi ha rappresentato una risposta concreta ed efficace per le imprese che si sono trovate a fronteggiare un’emergenza di liquidità senza precedenti”, aveva commentato venerdì scorso Emanuele Orsini, vice presidente di Confindustria con delega al credito.
Aiuti all’economia – “Peccato che siano quasi tutti bonus a pioggia”, così Bonomi si rammarica per il fatto che gli aiuti erogati in questi mesi siano andati a sostegno di tutti e non si siano concentrati sull’apparato produttivo. Perché, rivendica il numero uno di viale dell’Astronomia “quel minimo di ripresa l’abbiamo generato noi imprenditori”. Già in passato Confindustria aveva criticato una distribuzione degli aiuti a suo giudizio troppo dispersiva. Meritandosi anche la risposta piccata del ministro dell’economia Roberto Gualtieri: “se la critica è che abbiamo aiutato tutti, rispondo che si, abbiamo aiutato tutti“. Bonomi tuttavia tira dritto e riesuma anche un paragone davvero poco felice: “questa politica è peggio del Covid“. Ma, puntualizza, le mie parole sono state strumentalizzate perché “è chiarissimo che il riferimento era circoscritto ai temi economici”.
Nel frattempo Bankitalia aveva fatto sapere sapere che, in questi mesi, oltre la metà delle aziende private italiane ha fatto ricorso alla Cig – Covid, pagata con i soldi stanziati dal governo, risparmiando in media 1.400 euro a dipendente. Quanto ai furbetti della Cig (aziende che avrebbero incassato la Cig pur continuando a far lavorare i dipendenti e senza perdere fatturato) Bonomi afferma che, una volta che l’Inps avrà comunicato i nomi delle imprese coinvolte, queste saranno immediatamente messe fuori di Confindustria, “ma finora il signor Tridico non me le ha fornite”. Nel passaggio successivo c’è però una vaga ammissione che qualcosa è successo: “queste imprese hanno veramente violato la legge o il parametro del fatturato non era un parametro previsto per richiedere la Cig? Mi viene qualche dubbio”
Lavoro e contratti, licenziamenti: Intanto Confindustria non firma un rinnovo contrattuale che sia uno. Dieci milioni di lavoratori, record storico, sono in attesa del rinnovo del contratto collettivo di categoria ormai scaduto, in alcuni casi da pochi mesi, in altri da oltre un decennio. Nel caso dell’industria alimentare il problema per gli imprenditori sono 13 euro in più che dovrebbero essere corrisposti a partire dal 2023. Neppure i dipendenti della sanità privata, fino a ieri “gli eroi”, hanno ottenuto la firma, nonostante aspettino da 14 anni un’equiparazione ai colleghi della sanità pubblica.
“Vogliamo dare più soldi ai lavoratori per welfare aziendali e previdenza integrativa”, spiega Bonomi. In sostanza niente in busta paga ma qualche spicciolo (si parla di importi sotto ai 10 euro) sotto altra forma con trattamento fiscale favorevole. A queste condizioni “siamo i primi a voler rinnovare i contratti e chi ci accusa del contrario è un bugiardo”. Bonomi ribadisce poi che gli aumenti devono essere legati alla crescita di produttività. Una litania che Confindustria ripete da sempre ma che tende a generare malintesi. La produttività non dipende infatti da quanto lavora un dipendente (anzi, il monte ore italiano è tra i più alti d’Europa) ma dalla quantità e qualità beni che riesce a produrre. E da cosa dipende questo livello? Fondamentalmente dagli strumenti che il lavoratore si trova a disposizione per produrre. In sostanza da quanto investono le imprese. Un dipendente tedesco ha un produttività più alta non perché lavora di più o è più bravo, ma perché ha mediamente strumenti migliori per fare il suo lavoro. Non è un caso che gli investimenti di aziende private italiane languiscano da anni attorno allo 0,5% del Prodotto interno lordo, meno della metà di Francia o Germania. Sulla questione del blocco dei licenziamenti ,Bonomi concede che nei primi mesi il provvedimento è stato giusto (anche perché i costi sono stati coperti dalla Cig e non dalle aziende, ndr) ma che ora bisogna pensare ad una “exit strategy dall’economia assistita”. Realistica, secondo il presidente di Confindustria, la stima di un milione di posti di lavoro. Cosa si può fare? “Ridisegnare il sistema di protezione sociale”. Ci pensi lo Stato insomma.
Il Grande Patto per l’Italia – A fine intervista, dopo aver sparato su tutto e tutti, Bonomi chiede “un Grande Patto per l’Italia” (in maiuscolo) a cui lavorare con spirito di coesione dimostrando “che siamo tutti sulla stessa barca“. Il piano dovrebbe basarsi sulle “riforme strutturali” che di solito è una formula edulcorata per parlare di interventi su costo del lavoro, diritti dei lavoratori e pensioni. E poi sulla “rinuncia a qualsiasi pretesa statalista”, in altri termini dateci i soldi ma non chiedete di avere in cambio quote di aziende e infine l’auspicio “vogliamo governi che non coltivino ideologie ostili alle imprese“.
Per lunedì 7 settembre, è fissato il primo incontro dopo i cambi al vertice di Confindustria e Uil e l’emergenza Covid, tra il presidente di viale dell’Astronomia, Carlo Bonomi, ed i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil, Maurizio Landini, Annamaria Furlan e Pierpaolo Bombardieri. Sul tavolo diversi temi: dai contratti alla riforma degli ammortizzatori sociali fino alle politiche attive del lavoro.