Tra i 26 positivi trovati nella struttura c'era una sola turista, mentre gli altri 25 erano tutti dipendenti. La donna da una settimana è in quarantena con il marito e tre bambini, e alla stampa dicono di essere stati lasciati "senza assistenza". L'unica alternativa, spiegano le autorità sanitarie, è spostarsi in una casa in affitto
Dopo la scoperta di un caso positivo tra i lavoratori di un resort nell’Isola di Santo Stefano, alla Maddalena, si è attivata la macchina per fare i tamponi a tutti i vacanzieri presenti in quel momento nella struttura. Tra i 26 positivi una sola turista, mentre gli altri 25 erano tutti dipendenti. Per la donna, sposata con un manager cremasco di 48 anni e con tre figli di 10, 7 e 5 anni, era quindi scattata la quarantena, passata da quasi una settimana sull’isola. I tamponi, racconta alla Nuova Sardegna il proprietario del resort, Franco Cipolla sono stati fatti in tempi brevissimi, ma poi “tutto è terminato lì. Non hanno mai dato nessuna notizia alla famiglia. Silenzio totale. E loro stanno lì nel limbo in attesa che qualcosa succeda”. Sia la famiglia che i proprietari della struttura chiedono aiuto: “Qui siamo davanti a un caso umano, a una storia che rischia di degenerare“.
Purtroppo, spiega Marcello Acciaro, responsabile dell’Unità di crisi del Nord Sardegna, le regole sono molto rigide. “Un paziente e i suoi stretti congiunti devono fare la quarantena, non possono spostarsi. Questa famiglia si trova in un hotel, viene trattata in maniera egregia, ma di più non si può fare“. Nemmeno è possibile poterli trasferire in Lombardia, dato che la legge lo vieta, in quanto “l’Aeronautica trasferisce solo i pazienti che corrono pericolo di vita, ma non i parenti”, spiega ancora il medico. “Se non vogliono restare nel resort l’unica soluzione è prendere una casa in affitto fino al termine della quarantena – conclude Acciaro -. Questo è l’iter per le persone trovate positive. Le regole sono uguali per tutti, non sono ad personam“.
Per la famiglia, però, più che l’isolamento pesa la sensazione di abbandono, come spiega anche il direttore del resort: “Noi facciamo quello che ci è possibile – racconta –. L’altra sera sono andato in gommone a Palau a comprare le pizze per i bambini. Noi però di più non possiamo fare. Ma da parte della autorità sanitaria non arriva alcun tipo di informazione, alcuna assistenza medica o psicologica. La nostra dottoressa sta facendo un lavoro incredibile, ha chiamato Olbia, Sassari affinché le Usca si attivassero con il triage telefonico, ma mica lei può entrare nella loro stanza”. Per il momento, spiega ancora Cipolla, “i ragazzi sono tutti in camere singole. Il loro settore è stato completamente sanificato e chiuso con le porte antifuoco: nessuno vi ha più accesso. Abbiamo ordinato 25 termometri per misurare la temperatura. Diamo loro da mangiare, garantiamo il cambio delle lenzuola. Ma ora avrebbero bisogno di informazioni precise, di rassicurazioni. Invece zero”.
Dopo la scoperta del cluster e il periodo di isolamento, nella struttura vacanziera sono arrivati altri 200 nuovi ospiti. “Da noi le regole sul distanziamento hanno funzionato – racconta Cipolla -, ne è la prova il fatto che su 350 ospiti una sola sia risultata positiva. Abbiamo i presidi di sanificazione che hanno solo gli ospedali. Purtroppo non hanno funzionato solo con lo staff. Loro sono giovani e magari dopo il lavoro stanno meno attenti”.