Sono rare le voci più sincere che si levano dalla Tunisia per reclamare una politica più aperta da parte dell’Italia, della Francia e della Unione Europea in materia di visti per emigrare regolarmente nell’Unione Europea. Chiedere aiuti anzi investimenti per lo sviluppo in loco sembra molto più elegante, furbo e corrispondente alla dignità e all’orgoglio nazionale. E’ raro che si evochi la reciprocità e la pari dignità come fa il Forum Tunisino per i Diritti Economici e Sociali.
E’ comunque una Ong prestigiosa, pluri-intervistata e pluri-citata e non ha peli sulla lingua nel dire apertamente che non si può fingere di aiutare la Tunisia pretendendo contemporaneamente che la stragrande maggioranza dei suoi figli sia esclusa a vita dalla possibilità di mettere piede nei paesi della Ue e dalla possibilità di tentare di lavorarci almeno per un periodo. Forse persino una parte dei lettori di questo mio testo ignora che il visto per l’Italia, anche solo per un breve periodo turistico viene concesso solo a una minoranza abbiente dei tunisini e viene negato anche a chi potrebbe lasciare una caparra di qualche migliaio di euro.
Certo, occorrono idee e piani per lavorare in Tunisia: non si può pensare che milioni di giovani vivano solo col turismo o con le rimesse dei parenti emigrati o emigrando per sempre; si deve pensare a cosa possono fare il sole e il vento in termini energetici, una agricoltura non più schiava della monocultura dell’olio. Certo, va considerato tutto ciò. Ma intanto sta di fatto che le politiche dell’Europa fortezza e le paranoie sul terrorismo hanno schiacciato ai minimi storici sia l’emigrazione tunisina verso la Francia e l’Italia e sia il turismo europeo tanto diffuso fino al primo decennio del Duemila.
Che in un quadro di questo genere qualche migliaio di giovani all’anno su una popolazione di quasi 12 milioni tenti di uscire nell’unico modo possibile è il minimo, anzi è pochissimo.
Della assurdità di mantenere sostanzialmente chiusi i possibili ingressi legali in Italia e in Europa c’ è traccia in qualche frase dei nostri responsabili politici. L’ex ministro, Marco Minniti, ha dichiarato recentemente che occorre aprire canali di immigrazione legali per soppiantare quelli illegali. E persino Luigi Di Maio, a Tunisi, ha alluso – sia pure vagamente – a qualcosa del genere.
Nell’immediato comunque non se ne parla. Il problema è il Covid. Anzi non il Covid ma la percezione del Covid e i suoi possibili effetti elettorali in Italia. I ministri sono andati a Tunisi per chiedere, anzi per implorare e imporre, di bloccare le partenze perché “sa com’è… la gente ha paura”. I tunisini hanno intascato gli 11 milioni per rafforzare la guardia costiera (non si butta via niente) ma sul Covid si devono essere un po’ irritati. Hanno meno contagi e contagiati di qualunque paese europeo e adesso devono anche sopportare di essere indicati come untori. Così qualche giorno fa hanno deciso che dal 26 agosto si entra in Tunisia solo esibendo un test negativo. E pazienza per il pochissimo turismo europeo già massacrato dalla misura in vigore da noi che impone comunque la quarantena a chi arriva da paesi extra Ue come la Tunisia.
Quanto c’è di orgoglio e quanto di precauzione nella decisione tunisina è difficile a dirsi. Così come è difficile capire quanto i diversi pezzi della classe dirigente tunisina siano consapevoli che senza una nuova e sensata politica europea di “migrazione circolare” non parte o riparte nessuna “ripresa”. Ma dovrebbero saperlo comunque le classi dirigenti europee e italiane. E invece se clicchi sulla voce “Migrazione circolare” nel sito del governo italiano (integrazionemigranti.gov.it) ti si apre solo il “rientro volontario”.
In un modo o nell’altro sembra che l’ossessione sia sempre quella di farli tornare a casa così li aiutiamo meglio. Perché qui c’è assembramento… Mentre gli esperti internazionali di Caritas Italiana e gli esperti tunisini del Forum, quasi con le stesse parole, chiedono di riaprire i decreti flussi.