Cronaca

Ho fatto il tampone in Grecia prima di rientrare. Pensavo che mi avrebbero controllato e invece…

Ecco ci siamo, ci diciamo all’unisono, è il momento dello sbarco. Ventidue agosto 2020, porto di Bari. Dal sedile davanti recupero sul cruscotto il cellulare: archivio, download, documenti. Eccoli qui, i referti dei tamponi, tutti e quattro negativi. Ottanta euro l’uno, ma è giusto così ci siamo detti con mio marito. Meglio farli in Grecia, sia per la nostra di sicurezza, sia per coloro che incontreremo subito al ritorno.

Pronti tutti i documenti e anche le dichiarazioni, quattro fogli da compilare e firmare a cura del dichiarante e del vettore (portuale, nel nostro caso). Noi abbiamo barrato la lettera E, e crociato il comma a). Dichiaravamo di essere di ritorno dalla Grecia, specificavamo la zona o le zone in cui avevamo transitato, i giorni di permanenza e affermavamo – nero su bianco – di aver effettuato il tampone molecolare per il Covid nel paese estero in cui avevamo soggiornato. Soddisfatti di essere in regola con quanto lo Stato italiano ci chiedeva, non aspettavamo altro che esporre al vettore tutti i nostri documenti. Mancava poco, l’uomo che ci chiedeva di accostare appena scesi dal traghetto aveva alzato la mano e ci fatto segno di avvicinarci.

Torno indietro con la memoria a qualche ora prima. Dora Stathopoulou, dell’Ufficio Amministrazione dell’Aegean Medical Service mi avvertiva via mail di controllare i documenti allegati, contenevano i risultati del tampone che io e la mia famiglia avevamo fatto a domicilio settantadue ore prima del nostro arrivo in Italia, il tempo richiesto dalla normativa per chi volesse rientrare già monitorato. Non solo, sempre la signora Stathopoulou mi mandava lo stesso messaggio via Whatsapp. Un servizio eccezionale quello dell’Aegean, che già nella possibilità offerta di fare il tampone a domicilio per evitare contaminazioni con luoghi possibilmente a rischio lasciava capire i protocolli seri seguiti: infatti noi non abbiamo dovuto raggiungere alcun centro medico. Sono stati i medici a raggiungere noi.

Certo, tutto ha un costo, su questo non ci piove. Ma dal momento che la normativa entrava in scena – inaspettata – a tre quarti della nostra vacanza, l’alternativa per noi sarebbe stato solo l’isolamento fiduciario fino a quando – a Roma – non avessimo effettuato il tampone e riscontrato l’esito negativo. No grazie, ci sembrava più corretto lasciare il paese di vacanza con il tampone effettuato perché in caso di positività avremmo anche contagiato qualcuno durante il viaggio.

Così il 20 mattina, alle 9.45 in punto, ci avvertono che il medico è arrivato. E’ giovane ma si capisce che non è alle prime armi. Ha il volto sorridente di chi vuole anche tranquillizzarci e la pazienza di chi ha già espletato la stessa pratica con altri italiani. Documenti, passaporti, dati anagrafici, guanti, maschera, tampone. “Se vuole conoscere i risultati prima che vi arrivino i referti, fotografi il numero sullo sportello”, mi dice indicandomi l’auto del centro medico dalla quale è sceso: “Sono pronti già questa sera”. Chiedo a mia figlia di scattare la foto, il centro – si legge – risponde 24 ore su 24.

Alle 22 sapevamo che i tamponi avevano dato tutti esito negativo. Una conferma, perché sapevamo benissimo di aver adottato più distanziamento sociale noi – in una Grecia di spiagge deserte – che molti nostri amici che ci raccontavano le loro grasse grosse vacanze assembrate. Eppure, ironia delle assurdità incomprensibili, anche il loro sarebbe stato un rientro, ma non avrebbero dovuto sottoporsi ad alcun test.

Un giorno ci spiegheranno, avevamo sospirato rassegnati mentre decidevamo di pagare ottanta euro a persona per un tampone richiesto in corso d’estate, senza una visione né politica né di indirizzo. E mentre continuavamo ad ascoltare notizie che ci raccontavano numeri in crescita dovuti a turisti di rientro. “Di rientro?” Ma che diavolo vuol dire “di rientro?” “Di rientro” da dove? Che cosa si voleva sottintendere, che chi tornava da Grecia, Malta, Croazia e Spagna era diversamente “di rientro” da chi aveva soggiornato in una delle tante località italiane con persone assiepate le une accanto alle altre? C’è sempre in questo nostro giardino italiano, (quel my garden da cui non si esce, non c’è niente da fare) il sottile, violento, sotterraneo puntare il dito a tutto quel che è fuori confine. O che anche solo temporaneamente c’è stato, fosse anche un connazionale turista. Figuriamoci poi un migrante che sbarca in Sicilia (e infatti).

Ritorno al presente, tutte queste riflessioni sono acqua passata ora, mi dico mentre accostiamo e tiriamo giù il finestrino. E’ il 22 agosto, sono le 11.30 del mattino, la Superfast I ha riportato sì, un po’ di ritardo ma che vuoi che sia. Siamo di nuovo in Italia, siamo tutti e quattro Covid free, soldi sborsati, pratiche espletate, documenti alla mano, test negativo. Adesso, penso, il vettore portuale ci chiederà professionalmente al documentazione, la esaminerà passo passo e poi ci chiederà di mostrare il referto del test richiesto dalla legge italiana. Previsto tanto quanto i controlli al rientro.

E invece.

E invece l’uomo alla nostra sinistra, ci dice: “Ciao ragazzi, bentornati!” (Per carità, ci fa piacere, sebbene considerando solo io e mio marito abbiamo 97 anni in due). Gli allunghiamo i documenti (gli stessi che, sempre in originale, avevamo lasciato alla guardia costiera greca al momento dell’imbarco a Igoumenitza). E gli specifichiamo: “Un momento che le mostriamo i risultati del tampone”. Ma è proprio un momento, perché lui già non c’è più. E’ già con lo sguardo al veicolo dietro al nostro e senza neanche guardarci dice: “Andate, andate, bentornati”. Ma come? E il tampone neanche vuoi guardarlo? Noi ci siamo giocati due giorni di vacanze per farlo. Ci siamo preoccupati di chi avremmo incontrato al rientro, ci siamo anche fatti carico – a dirla tutta – dell’ipotesi di risultare positivi. E abbiamo valutato che civilmente saremmo rimasti in Grecia, perché è grazie a due cinesi che hanno seguito i protocolli fino all’osso che Roma e la Regione Lazio si sono salvati, altroché. Penso tutto questo ma lui già ci ha salutato, già ci ha liquidato, già non ci ha controllato. Non ci ha controllato.

Mentre sento la rabbia che mi monta dentro, mista alla delusione per aver rispettato per l’ennesima volta una legge dalla quale invece io non ho avuto alcun rispetto, realizzo che nei documenti che l’uomo ha preso ci sono solo le nostre generalità e il nostro indirizzo di residenza, ma non c’è alcuna copia dei nostri documenti. Tantomeno ce li aveva chiesti. Quindi davvero noi potevamo essere chiunque, non aver fatto il tampone, aver dichiarato il falso e via con fantasie che non voglio più alimentare perché c’è solo una domanda che mi attanaglia e su questa mi fermo perché voglio illudermi che il mio sia un caso, anche se già so che purtroppo così non è: ma se quell’uomo non ci aveva controllato né tampone né identità – e prendo la parte per il tutto – con quale serenità e con quanta serietà questo Paese chiede ai suoi cittadini di investire in proprio in tutele e garanzie (oggi è il tampone, domani sarà altro) che poi neppure si degna di controllare o verificare?