Tem- Tec. Sono le due formulette dietro cui si difende Confindustria per buttare la palla in corner di fronte alle richieste di aumenti in busta paga che arrivano dai lavoratori con contratto scaduto. Dieci milioni di dipendenti, nell’industria il 75% dei lavoratori. Alcuni attendono da qualche mese, altri da anni, altri ancora da oltre un decennio. Tra questi ultimi i dipendenti della sanità privata, gli “eroi” finoa qualche settimana fa. Prima di firmare Confindustria vuole prima essere sicura che tutte le regioni versino il loro obolo per finanziare gli aumenti. Oggi, in un’intervista a Repubblica, uno dei tredici vicepresidenti di Confindustria, Maurizio Stirpe, delega per il lavoro e le relazioni industriali, ha accusato i sindacati di “non rispettare i patti sui rinnovi”. Stessa accusa che era arrivata solo 24 ore prima dal numero uno Carlo Bonomi, intervistato da La Stampa. Stirpe si appella al“Patto per la Fabbrica”, documento firmato nel 2018 dall’allora presidente Vincenzo Boccia e dai tre leader di Cgil, Cisl e Uil. Il Patto fissa alcune dichiarazioni di intenti condivise tra industriali e rappresentanti dei lavoratori sulle strategie da adottare per migliorare le relazioni e favorire lo sviluppo e la competitività della nostra industria valorizzando il ruolo dei dipendenti. L’accordo è strutturato in vari capitoli, con indicazioni, piuttosto generiche su formazione, previdenza integrativa e altre forme di welfare aziendale, partecipazione dei lavoratori. E, naturalmente, sugli aspetti economici della contrattazione collettiva.

Aumenti legati all’inflazione? Si ma non solo – A tal fine vengono introdotti due concetti il Tec ossia il Trattamento economico complessivo e il Tem vale a dire Trattamento economico minimo. Il secondo fa parte del primo. Il Tec è infatti l’insieme dei benefici economici che possono essere corrisposti al lavoratore o sotto forma di denaro in busta paga, oppure come misure di welfare aziendale. Quanto al Tem l’accordo lega gli aumenti all’andamento dell’inflazione, in questo momento negativa in Italia, così come in molti altri paesi europei. Quindi, secondo gli industriali, in base all’accordo, non ci sono le condizioni per accordare aumenti. Neppure se di misura modesta, come sono quelli chiesti in molti rinnovi (si parla di poche decine di euro al mese, a volte meno). “Confindustria dimentica però un’altra parte della norma sul Tem, spiega a ilfattoquotidiano.it, Tania Sacchetti, segretaria confederale della Cgil con delega alla contrattazione, ossia quella in cui si fa riferimento alle prassi dei singoli Contratti Collettivi che regolano i rapporti e le dinamiche salariali nelle le diverse categorie”. L’inflazione insomma non è l’unico criterio su cui stabilire eventuali incrementi in busta paga. Il Patto per la Fabbrica è infatti un accordo generale che va poi calato nelle situazioni, molto differenti, dei vari settori produttivi, sottolinea a Sacchetti. Si pensi ad esempio a quanto accaduto in questi mesi, ci sono settori che hanno attraversato e attraversano crisi molto gravi, altri che hanno invece visto aumentare ricavi e guadagni. Pretendere di fissare una regola assoluta, in contraddizione con quanto disposto nel Patto, non ha senso.

La contrattazione di secondo livello, rischi e opportunità – “Le aziende vorrebbero spostare tutta la posta in gioco nei rinnovi sul welfare e la contrattazione di secondo livello (ossia quella operata nelle singole aziende, ndr), peccato che questa si svolga solo nel 30% delle industrie italiane, continua Sacchetti che aggiunge, pensiamo che in questa fase un riconoscimento economico per i lavoratori sarebbe utile per sostenere la domanda interna e aiutare la ripresa. Non dimentichiamo che si tratta di richieste di aumenti assolutamente ragionevoli”. Uno dei casi più eclatanti è quella dell’industria alimentare. Il rinnovo è stato sottoscritto da tre associazioni imprenditoriali minori ma non da Confindustria. Troppi i 119 euro lordi di aumento medio previsti a regime, ossia dal 2023. La linea di Confindustria è chiara, sempre meno aumenti che riguardano un’intera categoria e scelte sempre più demandate alle singole imprese. Nel migliore dei mondi possibili questo significherebbe buste paga più coerenti con l’andamento e i risultati delle singole aziende, con possibili benefici anche per i dipendenti di uno specifico gruppo. Ma nella pratica spostare la trattativa economica in sede aziendale significa anche indebolire la posizione dei lavoratori nella contrattazione.

Verso il primo faccia a faccia – Lunedì 7 settembre è in programma il primo faccia a faccia tra il nuovo presidente di Confindustria Carlo Bonomi e i leader sindacali Maurizio Landini, Annamaria Furlan e Pierpaolo Bombardieri . Incontro esplorativo, per “annusarsi”. Si parlerà di contratti, riforma degli ammortizzatori sociali fino alle politiche attive del lavoro. Ma in termini generali, nulla di concreto. Bonomi chiede meno rigidità ai sindacati. Ma la stessa identica richiesta arriva dalla parte opposta. “Molti contratti vanno rinnovati, ma Confindustria ha scelto di non rinnovarli. Confindustria deve decidere se intende investire nella relazioni oppure no”, ha detto domenica scorsa il segretario della Cgil Landini.

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