Nel corso delle ultime settimane il dibattito interno (ed esterno) alla maggioranza sul referendum per il taglio dei parlamentari si è concentrato soprattutto su un punto: i correttivi previsti da Pd e Movimento 5 stelle al momento dell’accordo che portò i dem, ormai quasi un anno fa, a dare il via libera finale al testo. Si tratta di una serie di misure che però (complice forse anche l’emergenza coronavirus) si sono arenate nei cassetti del Parlamento. E che ora il segretario Nicola Zingaretti chiede di rimettere in pista come garanzia per assicurare il Sì del suo partito. A farne l’elenco ci ha pensato il capogruppo dem alla Camera Graziano Delrio, chiedendo “coerenza ai nostri alleati” e spiegando che è possibile portare questi punti in aula prima del 20 settembre, affinché la riforma sia “equilibrata e rispettosa dei diritti di tutti i cittadini e delle formazioni politiche così come previsto dalla Costituzione”. Un problema, quello dei correttivi, che è al centro del dibattito politico, ma che non rappresenta, tecnicamente, un ostacolo dalla riduzione degli eletti, come ha argomentato in un’intervista a Repubblica il presidente emerito della Consulta Valerio Onida.
Equiparazione dell’elettorato – “In Senato sono in discussione, ed entro il 20 settembre potranno andare in Aula, l’allineamento elettorale attivo (18 anni) e passivo (25 anni) del Senato a quello della Camera”, spiega Delrio. È una misura di cui si discute da anni e che va a toccare un binomio chiave della democrazia: l’elettorato attivo (cioè chi può votare alle elezioni) e quello passivo (chi può essere eletto). Attualmente nei due rami del Parlamento sono in vigore regole diverse. I cittadini italiani possono eleggere un proprio rappresentante a Montecitorio solo se hanno compiuto 18 anni, mentre devono raggiungere i 25 per poter fare la stessa cosa a Palazzo Madama. Per quanto riguarda l’eleggibilità, invece, per poter ottenere uno scranno alla Camera bisogna avere almeno 25 anni, 40 al Senato. L’accordo raggiunto dalla maggioranza prevede che chiunque abbia 18 anni possa votare in entrambe le Camere, mentre sia di 25 anni il minimo per poter varcare le porte del Parlamento. A che punto siamo? Il provvedimento in pista – che punta alla modifica dell’articolo 58 della Carta – porta la firma di Giuseppe Brescia (M5s). A fine luglio 2019 ha ottenuto una prima approvazione bipartisan. A gennaio di quest’anno è stato votato in Commissione il testo base insieme agli emendamenti. Come sottolineato dal deputato dem, aspetta solo di essere calendarizzato. Poi dovrà essere approvato due volte per ciascun ramo del Parlamento (dal momento che si tratta di una riforma costituzionale).
Modifiche a Senato ed elezione capo dello Stato – Un punto su cui insiste il Comitato del No è quello dei presunti problemi di rappresentanza delle minoranze nelle Regioni più piccole. Anche in questo caso, afferma Delrio, il testo “potrà essere calendarizzato alla Camera entro il 20 settembre (data del referendum, ndr). E’ inoltre in esame alla Camera anche la riduzione di un terzo dei delegati regionali nella platea degli elettori del Presidente della Repubblica per rispettare le proporzioni tradizionali”. Il piano prevede innanzitutto di modificare l’articolo 57 della Costituzione per eleggere i senatori “su base circoscrizionale“, anziché su base “regionale”, con l’obiettivo di impedire che le Regioni più piccole abbiano troppo pochi candidati (e quindi poca rappresentanza dei partiti minori) rispetto a quelle più grandi. Poi c’è la modifica all’articolo 83 della Carta, cioè quello che riguarda l’elezione del capo dello Stato. Attualmente avviene in seduta comune ogni sette anni e al voto partecipano anche tre delegati per ogni Regione. La maggioranza che sostiene il governo Conte vuole abbassare il numero dei delegati a due, in modo tale da bilanciarne il peso rispetto al Parlamento. Il disegno di legge depositato alle Camere è firmato da Federico Fornaro di Leu ed è pronto per l’arrivo a Montecitorio.
Il nodo della legge elettorale – Restano da discutere i regolamenti parlamentari, che Zingaretti chiede di modificare prima del referendum come prima (e immediata) forma di garanzia da parte dei 5 stelle, e soprattutto la legge elettorale. L’accordo raggiunto prima della pandemia dalla maggioranza, chiarisce ancora Delrio, prevede “un sistema proporzionale con soglia di sbarramento al 5 per cento, auspichiamo che non si venga meno da quell’intesa e che sia adottato il testo in esame alla Commissione della Camera prima del 20 settembre”. Un passaggio decisivo su cui pende da settimane il veto di Italia viva nonostante il patto siglato alla nascita del governo Conte. La proposta di legge, ribattezzata Brescellum perché a prima firma Brescia (M5s), doveva arrivare in Aula a luglio, ma i renziani hanno posticipato tutto votando con il centrodestra.