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“A quindici anni avevo il ciuffo alla Rick Astley e giravo con un motorino che aveva un unico adesivo: il logo del Tg1“, quel ragazzo calabrese, qualche anno dopo, il primo telegiornale italiano lo ha potuto condurre per davvero. Alberto Matano ha macinato chilometri, sacrifici e gavetta lo hanno portato a raccontare gli eventi più significativi degli ultimi anni. Ha un tono educato e riflessivo, garbato ma non buonista. Non glissa, argomenta. Da via Teulada, dove ha iniziato a lavorare alla nuova edizione, questa volta in solitaria, de La Vita in Diretta, si racconta al FattoQuotidiano.it.
Quando ha scoperto la passione per il giornalismo?
“Ero alle scuole medie, la professoressa di Lettere ci faceva seguire le notizie al telegiornale, dovevamo raccontarle il giorno dopo a scuola. Mi appassionavo alla scrittura e alla lettura delle notizie, era scattata la scintilla.”
Gli inizi in una tv locale, pochi soldi e prime esperienze.
“Mi ero appena laureato in Giurisprudenza, insegnavo diritto agli studenti lavoratori in una scuola privata a Roma in un corso serale, esperienza straordinaria. La mattina andavo a fare interviste per una tv locale, si chiamava ReteNews, guadagnavo 400 mila lire al mese, li sommavo ai soldi delle lezioni serali per vivere in autonomia.”
A Perugia alla scuola di giornalismo Rai l’incontro con Milena Gabanelli.
“Milena mi ha insegnato a raccontare attraverso le immagini. Dopo il corso bisognava fare uno stage finale, grazie ai suoi suggerimenti girai un piccolo reportage sui militari che tornavano a casa durante le vacanze. Milena la ringrazio, con lei ho imparato a non avere paura nel raccontare le cose. Sono uno molto educato, mi ha insegnato ad essere più audace.”
È vero che non voleva fare il giornalista parlamentare perché sua madre si occupava di politica?
“Mia madre faceva politica, era una delle leader dell’Udc in Calabria e aveva un incarico non parlamentare ma nel partito nazionale. Quando te ne vai di casa a diciotto anni e appartieni a una famiglia che nella tua città è abbastanza conosciuta, lo fai perché non vuoi una vita semplice. Ho voluto fare la mia strada. Al Giornale Radio l’allora direttore Paolo Ruffini mi spostò sulla politica per una sostituzione estiva, mi prese un colpo. La mia fortuna è stata che mi chiamavo con il cognome di mio padre, nessuno sapeva che ero suo figlio. Per i primi tempi l’ho tenuto nascosto, intervistavo politici che lei conosceva ma non sapevano che ero suo figlio.”
Fu Riotta a portarla al Tg1, si ricorda il suo primo giorno?
“Chiamarono me e Natalia Augias dal Gr, eravamo emozionati. La palazzina era vicina ma quei pochi metri avevano un grande significato. Riotta ci coinvolse subito, vedevo i conduttori dell’epoca che a me sembravano quasi dei miti.”
Con Orfeo la promozione all’edizione delle 20, la svolta.
“E’ stato molto importante, ci fu grande fiducia del direttore. Parlare ogni sera a sei milioni di telespettatori è una responsabilità. Una piccola svolta era arrivata con la conduzione delle 13.30 ma anche con Unomattina Estate, quando l’ho fatto ho capito che potevo fare cose fuori dal registro tg.”
E’ stato vicino alla direzione del telegiornale di Rai1, le è dispiaciuto che non si sia concretizzata questa possibilità?
“Sono sincero, quella corsa non richiesta mi ha procurato tanti titoli di giornali e falsità scritte sul mio conto. Non sono mai sceso in campo, mi sono messo a disposizione dell’azienda. Non si è concretizzata e non lo dovrei dire ma per me è stato meglio, avevo voglia di cimentarmi ancore in cose nuove. Nulla accade per caso.”
Le associazioni al Movimento 5 Stelle, in passato ad altri partiti. Si infastidisce o ha capito che fa parte del gioco?
“All’inizio ci rimanevo male, non puoi non rimanerci male quando hai fatto molta gavetta e sacrifici per raggiungere i tuoi obiettivi. Adesso ho fatto un po’ di palestra in più, a volte ci sorrido pure. Ho le spalle più larghe e capisco che fa parte del gioco.”
Dalla strage di Charlie Hebdo a quella di Nizza, dal giuramento di Mattarella all’inaugurazione dell’Expo. Cosa ricorderà di più della sua esperienza al tg?
“Direi tutto ma il giorno di Charlie Hebdo non lo dimenticherò mai, l’Europa veniva scossa dal terrorismo. Improvvisamente eravamo più vulnerabili. Ricordo quella giornata come qualcosa che mi ha segnato. E’ successo anche con la strage di Nizza, sono tutte cose che restano. Le vivi talmente tanto e hai la responsabilità nel raccontare, tutto questo ti scuote. Come la strage di Sousse in Tunisia ero in macchina, mi chiamarono, scesi dalla macchina misi la giacca e dopo un minuto ero in onda.”
Si aspettava la chiamata per La Vita in diretta?
“La Vita in Diretta aleggiava sulla mia testa da qualche tempo, era una voce ma la proposta è arrivata lo scorso anno e ho accettato. Penso sia arrivata al momento giusto.”
Dalla rigidità del telegiornale alla commozione dell’infotainment. Un Matano diverso.
“Per il Coronavirus mi svegliavo anche alle quattro di notte, ero provato. Succedeva anche al tg, ora non c’è più il tavolo del telegiornale, non c’è più quel registro che devi osservare. Qui sei Alberto anche persona, questo ti avvicina al pubblico. Di fronte a quei numeri, all’infermiera che si dispera in diretta, a una figlia che piange il papà morto a Bergamo non puoi restare con l’aplomb che il telegiornale richiede.”
Dopo qualche difficoltà iniziale il programma è cresciuto e in primavera ha battuto Pomeriggio 5 e Barbara D’Urso.
“Non me l’aspettavo essendo una sfida consolidata vinta da Canale 5. Il grande impegno che abbiamo messo, anche la semplicità e sincerità con cui io e Lorella abbiamo affrontato questa percorso ha portato a quei risultati. Ci siamo rimboccati le maniche insieme, abbiamo lavorato tanto. Quando arrivavano i dati eravamo contenti ma il nostro obiettivo non era vincere ma fare servizio pubblico.”
A lei piace lo stile D’Urso?
“Sono programmi un po’ diversi ma stimo Barbara D’Urso che ha alle spalle una lunga carriera e una professionalità indiscussa. Ha un modo di raccontare e informare abbastanza unico nel panorama televisivo, ha portato uno stile che avevo visto in Spagna ma non in Italia. Il pubblico può scegliere in qualche modo nella diversità dell’offerta.”
Dopo dieci anni, dal 7 settembre, La Vita in diretta torna alla conduzione singola. Non c’è il rischio di un taglio troppo giornalistico in un daytime già affollato in questo genere?
“Sarò da solo ma non sarò da solo, il cuore de La Vita in Diretta è un racconto corale fatto con gli inviati che saranno i veri protagonisti, io sono il cross man della squadra. Sono la prima linea ma affiancato da professionisti straordinari. Ci saranno meno spazi in studio, tra gli inviati ci sarà Roberto Poletti e qualche arrivo dal tg.”
Prima di lei andrà in onda Serena Bortone, non c’è il rischio di sovrapporsi?
“Al pomeriggio c’è un flusso informativo ma saranno programmi diversi, Serena Bortone prima di me avrà un racconto differente. Noi faremo un programma tarato sull’attualità e ho capito che le persone non hanno più voglia dell’ennesima intervista al personaggio di cui ormai conoscono tutto.”
Ci sarà spazio per la leggerezza?
“Sì, la seconda parte del programma cambia. Avremo un tavolo ovale con una v che richiama la Vita in Diretta, utilizzando un po’ il modello di quanto fatto a Photoshow, attraverso immagini e video racconteremo con ospiti la realtà, il costume e la società italiana. Non ci sarà il pubblico in studio per l’emergenza Covid, la scenografia sarà diversa, ancora più interattiva e con led più grandi. Abbiamo anche il piacere di ospitare piccoli cadeau di Vincenzo Mollica.”
Non ci sarà invece Lorella Cuccarini, l’hanno accusata di averne favorito l’uscita.
“Questa cosa mi è molto dispiaciuta.”
“Ego smisurato”, “maschilismo”: in una mail la sua collega le ha riservato parole durissime, smentite da molti componenti della redazione. Cosa ha pensato quando l’ha letta?
“All’inizio ero incredulo, l’ho riletta, ho fatto dei bei respiri e ho pensato che la priorità era andare in onda per l’ultima puntata. Ho pensato che non avrei parlato fino alla fine della messa in onda, ho allungato il silenzio nei giorni successivi perché non c’era nulla da dire. Credo sia stato uno sfogo, forse una reazione impulsiva.”
Il vostro rapporto è stato conflittuale fin dall’inizio?
“All’inizio abbiamo impiegato tempo per conoscerci e scoprirci, abbiamo anche discusso e forse una sola volta c’è stato un confronto acceso. Poi ci siamo semplicemente rimboccati le maniche, abbiamo cominciato a lavorare rispettandoci e rispettando anche le diversità delle nostre storie professionali. La scelta di dare al programma un taglio diverso non è una mia responsabilità, se avessi il potere di decidere avrei fatto un altro lavoro. Questa accusa la trovo un po’ surreale.”
Si è molto parlato di una lite con Pierluigi Diaco.
“Non c’è stata alcuna lite, ci siamo solo parlati. Non capisco come sia venuta fuori questa gigantesca fake news.”
Ha detto che lei è stato sleale nei confronti della Cuccarini.
“Mi è dispiaciuto perché è un collega che rispetto. È il suo punto di vista.”
I contenitori del daytime finiscono spesso nel mirino per l’eccesso di cronaca nera. Si può farne a meno?
“Farne a meno no, non sarebbe nemmeno giusto perché fa parte del racconto della realtà. Anch’io facendo il programma ho capito che all’inizio sbagliavamo, nelle prime puntate alcune storie che non erano di nera venivano percepite dal pubblico come tali. Ho voluto un po’ cambiare rotta, quest’anno se c’è un caso che merita attenzione ce ne occuperemo ma non sarà un programma pieno di cronaca nera.”
Parlava di Photoshow, le piacerebbe un ritorno in seconda serata?
“E’ stata una sfida bella, per la prima volta mi sono presentato in modo diverso. Devo dire grazie anche tutti gli amici, i più grandi protagonisti della televisione, che sono venuti come ospiti. Stefano Coletta mi ha consentito di sperimentare linguaggi e moduli diversi, mi piacerebbe rifare Photoshow ma avendo un impegno quotidiano non saprei come fare.”
Dopo aver condotto Sono Innocente la sua fiducia nella giustizia e nelle istituzioni ha vacillato?
“Mi sono messo per la prima volta dalla parte degli altri. L’accusa ingiusta non si può accettare. Ho anche scritto un libro perché la vita di queste persone è stata distrutta e ho cercato di restituire loro quel briciolo di dignità che era stata calpestata. Adesso ho un freno su alcune vicende, sono molto più attento, prima di puntare il dito contro qualcuno bisogna pensarci e ripensarci perché abbiamo un mezzo potente tra le mani.”
Sui social si leggono molti apprezzamenti sulla sua fisicità.
“Quando due anni fa mi hanno eletto il giornalista più sexy mi sono fatto una risata. Vedo ora qualche apprezzamento, sarà forse il potere della televisione. Non ho mai investito su questo aspetto, non ho mai pensato di essere così bello. Se lo scopro alla soglia dei 50 anni mi stupisce.”
E’ vero che racconta le storie ai suoi nipoti al telefono prima di dormire?
“Io non ho figli, non sono arrivati. Era anche un desiderio ma quando sono arrivati i miei nipoti il mio spirito paterno è andato in questa direzione. A loro rispondo sempre, tranne quando sono in onda. E’ vero racconto storie, le nostre storie di vita familiare, di quando eravamo piccoli.”
Stampa le foto del cuore per metterle sul comodino, quale sogna di aggiungere?
“Forse sono l’unico a stampare ancora le foto. Più che aggiungere, vorrei poter stampare ogni anno la stessa foto. La foto è quella dei miei genitori che hanno festeggiato cinquant’anni di matrimonio, eravamo tutti riuniti ed è stato un momento di felicità pura. Il grande dono è riconoscere quel momento, vorrei poter fermare quegli istanti.”
Cosa la fa arrabbiare?
“Mi fa arrabbiare l’ingiustizia, la falsità. Chi non dice la verità mi fa perdere la testa.”
Come si vede tra dieci anni?
“Mi piacerebbe vedermi in Sicilia, magari a scrivere un romanzo.”
Le capita di pensare ce l’ho fatta o non si accontenta mai?“Non penso ce l’ho fatta ma sono molto grato per quello che ho, per quello che la vita mi ha dato. Ho imparato a essere grato. Sono un uomo perbene, una persona semplice con qualche spigolo. Spero un bravo giornalista.”