I magistrati di Genova sono a caccia dei 49 milioni di fondi pubblici ottenuti illecitamente dal Carroccio. L'ipotesi è che 450mila euro siano arrivati in parte nelle casse della società del deputato (non indagato) e poi tornate per vie traverse al partito. I pm avevano disposto la perquisizione a dicembre, ma Boniardi ha eletto il suo domicilio nella sede dell'azienda e ha frapposto l'immunità parlamentare. Poi il via libera della Camera
Dopo l’autorizzazione a procedere concessa dalla Camera il 5 agosto scorso, la procura di Genova che indaga sui fondi della Lega ha dato mandato alla Guardia di finanza di perquisire la sede della Boniardi Grafiche srl, di cui è titolare il deputato leghista Fabio Massimo Boniardi. I finanzieri del nucleo di polizia economico finanziaria, guidati dal colonnello Maurizio Cintura, hanno varcato le porte dell’azienda per acquisire documenti cartacei e informatici su disposizione del procuratore aggiunto Francesco Pinto e del sostituto Paola Calleri. Boniardi, che non è indagato, aveva eletto il domicilio presso la tipografia e quindi lo scorso dicembre non era stato possibile procedere con la perquisizione. La procura si era quindi appellata al Parlamento per ottenere l’autorizzazione, rilasciata a inizio agosto a cinque mesi dalla richiesta dei magistrati.
Prosegue quindi senza sosta l’inchiesta sui fondi del Carroccio aperta ormai due anni e mezzo fa con l’ipotesi che i 49 milioni di rimborsi elettorali ottenuti dal partito tra il 2008 e il 2010, falsificando rendiconti e bilanci (come confermato dalla Cassazione, che però ha dichiarato prescritti i reati per Umberto Bossi e per il tesoriere Belsito), in realtà siano stati occultati per evitarne la confisca. I magistrati sono a caccia dei mille rivoli in cui, a loro parere, sarebbero finiti i soldi. Una pista punterebbe proprio a Boniardi (non indagato). Secondo gli inquirenti, circa 450mila euro sarebbero stati erogati dalla Lega Nord all’Associazione Maroni Presidente come contributo per l’acquisto di materiale a sostegno delle campagne del partito. Nelle carte si parla di manifesti elettorali e volantini commissionati a due aziende: la Nembo srl e la Boniardi Grafiche, di cui è titolare proprio l’omonimo deputato. I magistrati ipotizzano che tutte o parte delle prestazioni fatturate nei confronti dell’Associazione non siano davvero avvenute. E che il presidente Stefano Bruno Galli (ad oggi l’unico sotto indagine) abbia fatto rientrare i soldi in altri conti correnti riconducibili al Carroccio sotto forma di erogazione liberale. Una ricostruzione finora sempre smentita da Boniardi.