di Diego Battistessa
La polizia cilena denuncia il collettivo femminista La Tesis autrice dell’inno internazionale Un violador en tu camino (Uno stupratore nel tuo cammino) per “attentato contro l’autorità pubblica ed incitazione alla violenza”: l’Onu interviene chiedendo che si rispetti e protegga la libertà di espressione e la libertà culturale, giacché contribuiscono alla costruzione di una società democratica.
Ancora una volta dunque si parla di violenza di genere, ancora una volta siamo in America Latina, ancora una volta la polizia è la protagonista in negativo di una vicenda che ha riguarda da vicino i diritti umani fondamentali. Ci troviamo come detto in Cile: un paese tornato alla ribalta internazionale con le proteste di piazza e le rivendicazioni di giustizia sociale scoppiate il 18 ottobre 2019 e che mirano ad una profonda riforma degli (dis)equilibri nazionali.
In un contesto di accese manifestazioni e durissima repressione delle forze dell’ordine, i collettivi femministi hanno giocato un ruolo fondamentale nelle denunce degli abusi subiti dalla popolazione (in special modo dalle donne) da parte dei “Carabineros” (la polizia cilena).
Proprio il 25 novembre, in occasione delle celebrazioni per la giornata internazionale contro la violenza sulle donne, Sibila Sotomayor, Dafne Valdés , Paula Cometa Stange e Lea Cáceres (il quartetto che ha dato vita al collettivo Las Tesis) organizzarono un flashmob che è già storia: bendate, in fila e con voce ferma, un gruppo di donne cilene cantò nella capitale Santiago e in altre città del paese, un inno contro la violenza di genere, intitolato Un violador en tu camino.
Le ripercussioni furono immediate, la denuncia in forma artistica dell’oppressione di un sistema patriarcale basato sulla violenza esercitata sulle donne in modo sistematico, strutturale, culturale simbolico, fisico, sessuale, psicologico ed economico, è diventato virale grazie ai social network diventando un inno della lotta femminista nel mondo. Da quel momento, le quattro donne originarie della città di Valparaíso, diventano un riferimento sia a livello nazionale che internazionale.
Il 27 maggio di questo 2020, il collettivo decide di pubblicare un video manifesto realizzato in collaborazione con Pussy Riot, che denuncia la violenza, la repressione, le torture, le decisioni del governo cileno in materia di sicurezza e le persecuzioni dei difensori dei diritti umani in tutta la regione. Parole come macigni che portano a galla una realtà di impunità ed estrema vulnerabilità delle donne di fronte agli abusi dei “Pacos” (nome dispregiativo con il quale vengono chiamati i carabineros in Cile) e delle forze dell’ordine nella regione.
Il video non passa inosservato e pochi giorni dopo, il 16 di giugno arriva la denuncia ufficiale al collettivo, da parte del corpo di polizia cileno appoggiato dal governo del Presidente Sebastian Piñera. A questo punto la questione trascende di nuovo le frontiere nazionali e popolari attrici di Hollywood come Natalie Portman, Julianne Moore, Milla Jovovich e Zoe Saldana, tra le altre, spingono e appoggiano una petizione che chiede di ritirare la denuncia contro Las Tesis. Una possibile svolta arriva però proprio in questi giorni.
Lunedì 24 agosto è infatti l’Organizzazione delle Nazioni Unite ad esprimersi al riguardo, ricordando che “lo Stato è obbligato a proteggere le persone che difendono i diritti umani. Queste persone non devono essere perseguitate quando esercitano le loro libertà di espressione e di riunione in modo pacifico. Chiediamo ai pubblici ministeri che non diano luogo a procedere alle accuse penali presentate dalla polizia”. Una delle preoccupazioni espresse dal gruppo di esperti Onu che hanno inviato la richiesta, riguarda l’effetto che una condanna di questo tipo potrebbe avere su tutte le donne del continente che stanno combattendo per difendere i diritti umani.
La stigmatizzazione e l’ostracismo delle autorità di fronte a questi eventi potrebbe inoltre configurare una violazione del diritto internazionale in materia di diritti umani. Una vicenda che assume il carattere di un vero e proprio boomerang mediatico per le autorità cilene, considerato soprattutto che proprio l’Onu aveva sancito e denunciato la violazione di diritti umani commesse dai carabineros a partire da ottobre 2019.
Inoltre a marzo 2020, il rappresentante per l’America del Sud dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, Jan Jarab, aveva dichiarato che non si potevano constatare “progressi significativi sulle 21 raccomandazioni contenute nel report realizzato a dicembre 2019”. Sembra dunque di essere di fronte al “mundo al revés” (mondo al contrario) come hanno titolato alcune testate giornalistiche della regione, una situazione dove gli oppressori denunciano gli oppressi, una situazione che sancisce ancora una volta la disputa per la resinificazione profonda e inarrestabile che sta vivendo l’America Latina contemporanea.
*Docente e ricercatore dell’Istituto di studi Internazionali ed europei “Francisco de Vitoria” – Università Carlos III di Madrid. Latinoamericanista specializzato in Cooperazione Internazionale, Diritti Umani e Migrazioni. www.diegobattistessa.com