Il “partito della ruspa” che a Ferrara, invece di sgomberare, accoglie famiglie rom in case popolari; famiglie dei campi della Capitale che davanti a prossimo sgombero rivendicano quel modello chiedendo alla Giunta 5 Stelle di replicarlo; la sinistra che attacca l’azione leghista a Ferrara mentre tace davanti ai rom di Roma. È questa la sintesi dell’inedita situazione determinatasi, un vero e proprio corto circuito politico nel quale sono cadute le tre principali forza politiche del Paese e dal quale non sanno come uscire. E in mezzo, come spesso accade, famiglie rinchiuse da decenni nei cosiddetti “campi nomadi”.

La vicenda ha il suo inizio con le elezioni amministrative di Ferrara dove nel maggio del 2019 viene eletto il leghista Alan Fabbri. Il capoluogo estense, da 74 anni roccaforte della sinistra, passa per la prima volta nelle mani del Carroccio. La nuova Giunta intende da subito mettere in atto quanto promesso in campagna elettorale: lo sgombero del campo rom di via delle Bonifiche, dove da 30 anni vive una cinquantina di persone. In agosto iniziano i trasferimenti dei residenti in diversi alloggi ma alla fine restano tre famiglie da sistemare. Il 13 settembre con apposite delibere l’Amministrazione leghista decide di inserirle nelle case popolari di proprietà dell’Acer.

Davanti alle proteste del Pd locale, gli assessori leghisti si vedono costretti a organizzare una conferenza stampa per giustificare, non senza imbarazzo, le procedure. Si fa riferimento a quelle previste dall’articolo 3 del Regolamento dell’Acer che dà facoltà a ciascun Comune di “utilizzare alloggi Erp che fanno parte della quota di alloggi di edilizia residenziale pubblica”. In parole povere ogni Comune ha la facoltà di individuare case popolari da escludere dalle graduatorie per destinarle a soggetti in condizione di particolare vulnerabilità. Il vice sindaco Lodi si affretta a precisare: “Negli alloggi Acer le famiglie rom dovranno corrispondere un canone mensile, che è ciò che è mancato per 30 anni in via delle Bonifiche. Tutte queste famiglie avevano già fatto richiesta per accedere agli alloggi Acer, e il regolamento prevede che tra due anni se avranno rispettato i requisiti queste assegnazioni potranno diventare definitive”.

Dietro le articolate frasi c’è una parola: “inclusione”. Questo non toglie che sarà poi lo stesso Lodi, a campo chiuso e famiglie collocate nelle case, ad assecondare comunque l’irrefrenabile desiderio di salire su una ruspa per abbattere i container in un patetico teatrino mediatico.

Ci spostiamo adesso a Roma, dove la Giunta Raggi cerca da tre anni di superare un campo rom ma senza riuscirci, visto che ogni tentativo finisce per risolversi in uno sgombero. Il caso più attuale è quello dell’area F del campo di Castel Romano, “villaggio” per il quale l’Amministrazione capitolina ha già impiegato ad inizio 2020 circa 3,3 milioni di euro per l’inserimento delle persone in un’abitazione convenzionale. Tradendo i suoi stessi principi, il Comune di Roma comunica nel luglio scorso alle cento persone dell’area F di dover lasciare il campo “libero da cose e persone”. Perché? Nessuno lo sa. Nell’insediamento vivono da otto anni famiglie originarie della Bosnia, molte delle quali con cittadinanza italiana acquisita.

Davanti alla minaccia i rom preparano una lettera che presentano in piazza del Campidoglio. Non si appellano all’umanità o alla solidarietà. Chiedono semplicemente alla sindaca Virginia Raggi di fare come i leghisti a Ferrara, visto che a Roma la riserva di alloggi popolari a disposizione della Capitale non è come nella città scaligera del 3% ma addirittura del 15%! “Trenta delle nostre famiglie – scrivono le famiglie dell’area F – hanno già fatto domanda di ‘casa popolare’ e questo strumento, già praticato con successo dalla Giunta leghista di Ferrara quando, lo scorso anno, ha dovuto chiudere un campo rom, consentirebbe semplicemente, senza corsie preferenziali e in maniera assolutamente legale, di accelerare il nostro accesso negli alloggi dell’edilizia residenziale pubblica”.

Rimbomba in piazza del Campidoglio il silenzio della sinistra romana, ma le parole delle famiglie rom scuotono la città. Perché non fare come il “partito della ruspa” e sistemare le famiglie di Castel Romano in case popolari? La legge lo consente e nessuno, dentro e fuori Palazzo Senatorio, sarebbe in condizione di obiettare. E il precedente leghista potrebbe offrire su un piatto d’argento alla Giunta Raggi di far rivivere il Piano rom, il “capolavoro da applausi” come ebbe a definirlo Beppe Grillo.

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