La Regione Siciliana ha sbagliato a inviare la mail con la quale chiedeva un’audizione davanti al Tar di Palermo, prima che il tribunale si esprimesse sull’ordinanza sui migranti del governatore Nello Musumeci. In pratica la richiesta di audizione è stata inviata a un indirizzo di posta elettronica sbagliato. Lo sostiene l’ufficio stampa della Giustizia amministrativa, replicando alle affermazioni di Musumeci che “ha più volte dichiarato che il Tar Palermo ha deciso ‘senza neppure ascoltare la Regione‘, accuse rincarate nel corso della trasmissione condotta da Nicola Porro, Quarta Repubblica del 31 agosto, in cui ha affermato ‘il Tar non ci ha voluti ascoltare… è normale che questo possa avvenire all’interno di una strategia”. In realtà, prosegue la nota dell’ufficio stampa, “l’audizione delle parti nel giudizio cautelare monocratico non è obbligatoria” e in ogni caso “la richiesta audizione è stata sì formalmente presentata, ma ad un indirizzo telematico errato, non idoneo alla ricezione degli atti processuali, e comunque tardivamente, sicché, per fatto imputabile alla stessa Regione Siciliana, tale richiesta non è stata tempestivamente acquisita nel fascicolo processuale”.
Il 29 agosto scorso il Tar aveva sospeso l’ordinanza del presidente della Regione Siciliana, che prevedeva la chiusura degli hotspot e dei centri di accoglienza per migranti presenti sull’isola e il loro trasferimento fuori dal territorio regionale in appena 48 ore. Il tribunale amministrativo aveva dunque dato ragione al governo Conte e al Viminale perché le misure “non possono ritenersi rientranti nell’ambito dell’esercizio dei poteri delegati dall’autorità del governo centrale”. Tradotto: non era competenza di Musumeci. Il giudice era anche entrato nel merito di quanto sostenuto dal governatore e spiega che non emerge un legame tra i migranti e l’aumento del rischio sanitario: “L’esistenza di un concreto aggravamento del rischio sanitario legato alla diffusione del Covid-19 tra la popolazione locale, quale conseguenza del fenomeno migratorio, che, con il provvedimento impugnato, tra l’altro, si intende regolare, appare meramente enunciata, senza che risulti essere sorretta da un’adeguata e rigorosa istruttoria”.