Nel 2016, agli alti lai degli apocalittici renziani opponevamo le giuste preoccupazioni per lo snaturamento della Carta costituzionale nel caso fosse passata una riforma pasticciata e zeppa di cose diverse, che toccava tantissimi articoli, con qualche sprazzo di lucidità annegato nel tentativo di produrre l’ennesimo potenziamento delle prerogative governative.
Un governo “stabile”, ma prodotto senza quella legittimazione popolare che – a dettato costituzionale immutato – si rendeva necessaria dalle tante convenzioni costituzionali intervenute negli anni. Una riforma che garantiva lo strabiliante esito di umiliare l’autonomia del parlamento e la volontà popolare.
Allora aveva senso preoccuparsi per il destino della Costituzione. Mi pare che oggi le cose stiano diversamente. Intanto non si tratterebbe di una riforma epocale, e questo sia detto sia per i sostenitori del “Sì” che per quelli del “No.” Non è, la riforma voluta per lo più dai 5 Stelle (ma poi votata con maggioranze bulgare dal Parlamento), la panacea per la soluzione dei mali italici. E l’argomento sul risparmio di risorse non mi pare definitivo (ma ci sarebbe comunque da rifiutare il contro-argomento che, risparmiando poco, sarebbe meglio lasciar perdere: da qualche parte si dovrà pur iniziare).
Ma la riduzione del numero dei parlamentari non è un attentato alla democrazia. Stavolta, peraltro – e per parlare anche degli effetti sulla bassa macelleria politica – non c’è neanche l’effetto personalizzazione (i leader attuali memori di Matteo Renzi se ne guardano bene) né c’è rischio per la tenuta del governo, se si eccettua il solito Renzi, il quale potrebbe far scricchiolare l’esecutivo con le solite richieste di posti e spazio.
Le ragioni del “Sì” e quelle del “No” sono pari, e serenamente si può votare l’una o l’altra opzione senza che molto cambi. Non c’è l’attentato alla rappresentanza, non c’è l’umiliazione del Parlamento, non ci sono i rischi di un esecutivo strabordante.
Non più di quanto tutto questo non sia già una realtà. Perché da anni il Parlamento è ridotto a un’assemblea di cooptati dalle direzioni dei partiti o dai capi politici, senza alcun legame con il territorio, e da anni Camera e Senato non fanno che ratificare le decisioni del governo, minacciate come sono dal ricorso massiccio alla fiducia e dall’abuso della decretazione d’urgenza; da anni i territori non sono rappresentati anche perché non c’è legame tra il parlamentare e il collegio (ricordate gli innumerevoli paracadutati?).
Si dirà: diradando il rapporto tra rappresentanti e rappresentati, queste criticità si aggraveranno. La risposta è: dipende. Infatti la battaglia sul referendum costituzionale andrebbe traslata su un’altra questione (e in verità è quello il vero punto): la legge elettorale. È lì che si giocano in realtà le questioni sollevate dai sostenitori del “No”. I quali, molto spesso, sono proporzionalisti.
Tuttavia essi non si sono accorti che le leggi elettorali degli ultimi anni, teratogene e deliranti, avevano tutte (“Porcellum”, “Italicum”, “Rosatellum”) un impianto sostanzialmente proporzionalistico con massicci correttivi di natura pseudo-maggioritaria. Per non dire che quelle leggi umiliano la volontà popolare, che si era espressa a favore del sistema maggioritario.
Si dice che la riduzione del numero dei parlamentari non garantirebbe un’adeguata rappresentanza del territorio per numero di elettori. Non sembri capzioso sottolineare che la nostra Costituzione afferma che non c’è vincolo di mandato, e che il parlamentare rappresenta la Nazione.
Se proprio si volesse creare un forte legame tra collegio e rappresentante, occorrerebbe rivedere – assieme al sistema elettorale, magari andando verso un vero maggioritario – questi due aspetti. Perché altrimenti si deve riconoscere che, al di là del numero, come diceva Condorcet “Le peuple m’a envoyé pour exposer mes ideés, non les siennes”.
Ha qualche ragione chi afferma che la politica straborda e sarebbe meglio ridurla a “una delle” attività in questo paese. Abbiamo politici a tutti i livelli, con annessi talvolta grotteschi privilegi. Sebbene si tratti di forme diverse, occorrerebbe misurare un indice di rappresentatività globale: quanti politici di vario livello per elettore?
Anche i contesti non-politici (la cultura, la televisione, l’economia, i giornali) sono tutti dominati dalla politica e dalla presenza di politici di ogni risma. Sarebbe appena il caso di ricordare che i politici non sono lo Stato tout court, e che semmai ciò che manca è proprio quest’ultimo. Tanti politici, poco Stato.
Francescomaria Tedesco
Professore universitario di Filosofia politica, Ph.D.
Palazzi & Potere - 1 Settembre 2020
Referendum, il taglio dei parlamentari non è un attentato alla democrazia. La questione è un’altra
Nel 2016, agli alti lai degli apocalittici renziani opponevamo le giuste preoccupazioni per lo snaturamento della Carta costituzionale nel caso fosse passata una riforma pasticciata e zeppa di cose diverse, che toccava tantissimi articoli, con qualche sprazzo di lucidità annegato nel tentativo di produrre l’ennesimo potenziamento delle prerogative governative.
Un governo “stabile”, ma prodotto senza quella legittimazione popolare che – a dettato costituzionale immutato – si rendeva necessaria dalle tante convenzioni costituzionali intervenute negli anni. Una riforma che garantiva lo strabiliante esito di umiliare l’autonomia del parlamento e la volontà popolare.
Allora aveva senso preoccuparsi per il destino della Costituzione. Mi pare che oggi le cose stiano diversamente. Intanto non si tratterebbe di una riforma epocale, e questo sia detto sia per i sostenitori del “Sì” che per quelli del “No.” Non è, la riforma voluta per lo più dai 5 Stelle (ma poi votata con maggioranze bulgare dal Parlamento), la panacea per la soluzione dei mali italici. E l’argomento sul risparmio di risorse non mi pare definitivo (ma ci sarebbe comunque da rifiutare il contro-argomento che, risparmiando poco, sarebbe meglio lasciar perdere: da qualche parte si dovrà pur iniziare).
Ma la riduzione del numero dei parlamentari non è un attentato alla democrazia. Stavolta, peraltro – e per parlare anche degli effetti sulla bassa macelleria politica – non c’è neanche l’effetto personalizzazione (i leader attuali memori di Matteo Renzi se ne guardano bene) né c’è rischio per la tenuta del governo, se si eccettua il solito Renzi, il quale potrebbe far scricchiolare l’esecutivo con le solite richieste di posti e spazio.
Le ragioni del “Sì” e quelle del “No” sono pari, e serenamente si può votare l’una o l’altra opzione senza che molto cambi. Non c’è l’attentato alla rappresentanza, non c’è l’umiliazione del Parlamento, non ci sono i rischi di un esecutivo strabordante.
Non più di quanto tutto questo non sia già una realtà. Perché da anni il Parlamento è ridotto a un’assemblea di cooptati dalle direzioni dei partiti o dai capi politici, senza alcun legame con il territorio, e da anni Camera e Senato non fanno che ratificare le decisioni del governo, minacciate come sono dal ricorso massiccio alla fiducia e dall’abuso della decretazione d’urgenza; da anni i territori non sono rappresentati anche perché non c’è legame tra il parlamentare e il collegio (ricordate gli innumerevoli paracadutati?).
Si dirà: diradando il rapporto tra rappresentanti e rappresentati, queste criticità si aggraveranno. La risposta è: dipende. Infatti la battaglia sul referendum costituzionale andrebbe traslata su un’altra questione (e in verità è quello il vero punto): la legge elettorale. È lì che si giocano in realtà le questioni sollevate dai sostenitori del “No”. I quali, molto spesso, sono proporzionalisti.
Tuttavia essi non si sono accorti che le leggi elettorali degli ultimi anni, teratogene e deliranti, avevano tutte (“Porcellum”, “Italicum”, “Rosatellum”) un impianto sostanzialmente proporzionalistico con massicci correttivi di natura pseudo-maggioritaria. Per non dire che quelle leggi umiliano la volontà popolare, che si era espressa a favore del sistema maggioritario.
Si dice che la riduzione del numero dei parlamentari non garantirebbe un’adeguata rappresentanza del territorio per numero di elettori. Non sembri capzioso sottolineare che la nostra Costituzione afferma che non c’è vincolo di mandato, e che il parlamentare rappresenta la Nazione.
Se proprio si volesse creare un forte legame tra collegio e rappresentante, occorrerebbe rivedere – assieme al sistema elettorale, magari andando verso un vero maggioritario – questi due aspetti. Perché altrimenti si deve riconoscere che, al di là del numero, come diceva Condorcet “Le peuple m’a envoyé pour exposer mes ideés, non les siennes”.
Ha qualche ragione chi afferma che la politica straborda e sarebbe meglio ridurla a “una delle” attività in questo paese. Abbiamo politici a tutti i livelli, con annessi talvolta grotteschi privilegi. Sebbene si tratti di forme diverse, occorrerebbe misurare un indice di rappresentatività globale: quanti politici di vario livello per elettore?
Anche i contesti non-politici (la cultura, la televisione, l’economia, i giornali) sono tutti dominati dalla politica e dalla presenza di politici di ogni risma. Sarebbe appena il caso di ricordare che i politici non sono lo Stato tout court, e che semmai ciò che manca è proprio quest’ultimo. Tanti politici, poco Stato.
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Roma, 13 feb. (Adnkronos) - Il Milleproroghe è un provvedimento routinario, in teoria nell'esame tutto doveva andare liscio. Invece l'iter di questo provvedimento è stato un disastro, la maggioranza l'ha gestito in modo circense, dando prova di dilettantismo sconcertante". Lo ha detto la senatrice Alessandra Maiorino, vice presidente del gruppo M5S al Senato, nella dichiarazione di voto sul Milleproroghe.
"Già con l'arrivo degli emendamenti abbiamo visto il panico nel centrodestra. Poi è arrivata la serie di emendamenti dei relatori, o meglio del governo sotto mentite spoglie, a partire da quelli celebri sulla rottamazione delle cartelle. Ovviamente l'unica preoccupazione della maggioranza, a fronte di 100 miliardi di cartelle non pagate, è stata solo quella di aiutare chi non paga. Esattamente come hanno fatto a favore dei no vax, sbeffeggiando chi sotto il Covid ha rispettato le regole. In corso d'opera abbiamo capito che l'idea di mettere tre relatori, uno per ogni partito di maggioranza, serviva a consentire loro di marcarsi a vicenda, di bloccare gli uni gli sgambetti degli altri. Uno scenario surreale! Finale della farsa poi è stato il voto di un emendamento di maggioranza ignoto ai relatori e una ignobile gazzarra notturna scoppiata tra i partiti di maggioranza. Non avevamo mai visto tanto dilettantismo in Parlamento".
Roma, 13 feb. (Adnkronos) - "Il decreto Milleproroghe rappresenta una sfida importante, un provvedimento cui abbiamo dato un significato politico, un’anima. L’azione di questo governo punta a mettere in campo riforme e norme strutturali ma esistono anche pilastri meno visibili che hanno comunque l’obiettivo finale della crescita delle imprese e della nostra economia, di sostenere il sistema Italia nel suo complesso. Ecco perché col decreto Milleproroghe abbiamo provveduto ad estendere o a sospendere l’efficacia di alcuni provvedimenti con lo scopo di semplificare e rendere più snella la nostra burocrazia, sempre con l’obiettivo dichiarato della crescita. Fra questi norme sulle Forze dell’ordine e sui Vigili del Fuoco, sostegno ai Comuni e all’edilizia, nel campo sociale e sanitario come in quello dell’industria e della pesca e sul contrasto all’evasione fiscale. Più di 300 emendamenti approvati, tra cui anche quelli dell’opposizione, al fine di perseguire, con questo esecutivo, la finalità di fornire alla nostra Nazione gli strumenti per crescere e per questo il voto di Fratelli d’Italia è convintamente a favore”. Lo dichiara in aula il senatore di Fratelli d’Italia Andrea De Priamo.
Roma, 13 feb. (Adnkronos) - "Dico al ministro Crosetto che l’aumento delle spese per armamenti, addirittura fino al 3%, ruba il futuro ai nostri figli. Ruba risorse alla sanità, alla scuola, ai trasporti. L’aumento delle spese per le armi non ci renderà più sicuri, ma alimenterà conflitti e guerre, come la storia dimostra”. Così Angelo Bonelli, deputato di AVS e co-portavoce di Europa Verde, in merito alle dichiarazioni di Crosetto sull'aumento delle spese militari.
Palermo, 13 feb. (Adnkronos) - "Il problema della situazione carceraria nel Paese è un problema che ogni giorno ci tocca da vicino, stiamo gia' predisponendo le dovute soluzioni. Abbiamo gia' definito il piano carceri e il commissario straordinario". Lo ha detto il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, intervenendo in video collegamento di ritorno dalla Turchia alla "Giornata dell'Orgoglio dell'appartenenza all'avvocatura e dell'accoglienza dei giovani" istituita dal Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Palermo.
Palermo, 13 feb. (Adnkronos) - "Criticità nel disegno di legge costituzionale non ve ne sono tali da alterare il testo, ma sarà seguito da una serie di leggi ordinarie. Per esempio, manca nella disegno di legge costituzionale la riserva per le quote cosiddette rosa, ma questo lo metteremo nelle leggi di attuazione che saranno leggi ordinarie. Anche il sistema del sorteggio potrà essere meglio definito. Ma una cosa e' certa: questa legge costituzionale non si modifica". Lo ha detto il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, intervenendo in video collegamento di ritorno dalla Turchia alla "Giornata dell'Orgoglio dell'appartenenza all'avvocatura e dell'accoglienza dei giovani" istituita dal Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Palermo, parlando delle dichiarazioni del vicepresidente del Csm Fabio Pinelli che ieri, aveva parlato dei "punti di criticità della riforma del Csm" sui quali si e' appuntata anche l'attenzione della Commissione Ue, aveva sottolineato la necessita' di "un'approfondita riflessione.
Palermo, 13 feb. (Adnkronos) - "Oggi in Turchia, parlando con il mio omologo, il ministro di giustizia turco, quando ho detto che probabilmente i magistrati italiani faranno uno sciopero, lui è rimasto sorpreso e mi ha domandato 'ma è legale?'. Se i magistrati vogliono fare lo sciopero che lo facciano, ma quello che è certo e che, senza alcun dubbio, noi andremo avanti perché e' un nostro impegno verso gli elettori". Lo ha detto il ministro della Giustizia Carlo Nordio intervenendo in vdieocollegamento di ritorno dalla Turchia alla Giornata dell'orgoglio dell'appartenenza degli avvocati a Palermo.
Palermo, 13 feb. (Adnkronos) - La separazione delle carriere dei magistrati "è un dovere verso elettorato perché lo avevamo promesso nel nostro programma e questo faremo. Il nostro e' un vincolo politico verso l'elettorato". Lo ha detto il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, intervenendo in video collegamento, di ritorno dalla Turchia, alla "Giornata dell'Orgoglio dell'appartenenza all'avvocatura e dell'accoglienza dei giovani" istituita dal Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Palermo. "Io sto girando un po' dappertutto per redigere protocolli - ha proseguito il ministro -, e ogni qualvolta parliamo di separazione carriere ci guardano con un occhio perplesso perché in tutti gli ordinamenti del mondo questo è normale".