Greenpeace pubblica le immagini dei roghi. Ma oltre alle responsabilità del Brasile, la spinta maggiore a incendi e deforestazione viene dalla richiesta di nuovi terreni per i pascoli e per la produzione di mangime a basso costo destinato anche ai nostri allevamenti intensivi
Se nel mese di agosto, in Amazzonia sono stati registrati 29.308 incendi, il secondo valore più alto negli ultimi dieci anni, 8mila sono divampati solo in Amazonas e, in questo caso, si tratta del numero più elevato numero di incendi della storia dello Stato più esteso del Brasile. E mentre la foresta continua a bruciare, il governo Bolsonaro, dopo aver proposto una moratoria agli incendi e aver inviato l’esercito, nei giorni scorsi ha fatto dietrofront, annunciando la sospensione di tutte le operazioni per combattere la deforestazione in Amazzonia, gli incendi nel Pantanal e nelle altre regioni. Greenpeace diffonde oggi nuove immagini dei roghi , realizzate sorvolando le aree colpite, che mostrano come le fiamme siano andate a distruggere anche le aree protette. E ricorda che dietro a queste immagini c’è anche una responsabilità europea.
LA COLPA È ANCHE DELL’EUROPA – Ma il problema non è solo l’indifferenza del governo Bolsonaro, ma anche la connivenza dell’Unione europea, che sta discutendo l’approvazione del Mercosur, un accordo commerciale con Brasile, Argentina, Paraguay e Uruguay. “Se approvato – spiega Martina Borghi, della campagna foreste di Greenpeace – creerebbe un quadro giuridico ed economico destinato ad aumentare il commercio (e quindi la produzione e il consumo) di carne, mangimi e altri prodotti già fortemente legati alla distruzione dell’Amazzonia, alla crisi climatica in corso e alla violazione dei diritti umani”. Per informare sul legame tra le scelte fatte in Europa e gli incendi in Amazzonia, i volontari di Greenpeace saranno presenti, sabato 5 settembre, in 14 città italiane con iniziative di sensibilizzazione.
GLI INTERESSI DELL’AGROINDUSTRIA – “La richiesta di nuovi terreni per i pascoli e per la produzione di mangime a basso costo destinato anche ai nostri allevamenti intensivi è la spinta maggiore a incendi e deforestazione” ricorda Greenpeace. Nella maggior parte dei casi, infatti, gli incendi in Amazzonia (come in numerose altre foreste dell’America Latina) vengono innescati deliberatamente per gli interessi dell’agroindustria. Tra il luglio 2019 e il giugno 2020 l’Italia ha importato dal Brasile oltre 25mila tonnellate di carne, più di ogni altro Paese dell’Unione europea, mentre nel 2019 il nostro Paese è stato fra i primi dieci importatori di soia brasiliana dell’Unione.
I NUMERI DEL COVID-19 – Gli incendi non sono l’unica minaccia per l’Amazzonia. La diffusione del Covid-19 non si ferma: sono oltre 29mila gli indigeni contagiati e 761 quelli defunti. Tanto che la Corte suprema brasiliana (Stf) ha stabilito l’adozione di misure urgenti per contenere la diffusione del coronavirus nelle comunità indigene, che sono tra i gruppi più vulnerabili di fronte alla pandemia. La Corte ha così risposto a un’azione promossa dall’Articolazione dei popoli indigeni del Brasile (Apib) dopo che il presidente Jair Bolsonaro aveva posto il veto a una legge che obbligava il governo a fornire medicinali, acqua potabile e assistenza medica agli indios. In Brasile vivono circa 900mila indigeni, buona parte dei quali in villaggi di difficile accesso in Amazzonia. È inoltre in corso una nuova corsa all’oro, che si è scatenata dopo che, a causa della pandemia, il prezzo del metallo prezioso ha raggiunto valori mai registrati in 30 anni. Il 73 per cento della deforestazione illegale causata da attività minerarie nel mese di luglio è avvenuto in aree protette e oltre la metà in terre indigene, in particolare nelle terre dei Munduruku e dei Kayapò.