Torna a salire, in questi ultimi giorni, la curva dei download di Immuni. Complice l’aumento del numero di contagi registrati ad agosto. Siamo a 5,3 milioni, ossia il 14% dei cellulari che ci sono in Italia (38 milioni), percentuale dalla quale sono esclusi i minori di 14 anni e chi non è in possesso di uno smartphone, per la grande maggioranza anziani. Esperti e rappresentanti del governo hanno invitato i cittadini a scaricare la app e, nelle ultime due settimane, il numero medio di download al giorno è cresciuto del 153% (fonte: stime Università di Pavia, Digita4good lab). Anche il viceministro della Salute, Pierpaolo Sileri è tornato a ribadire che Immuni “avrebbe potuto contribuire nei mesi estivi a limitare il rischio quotidiano di contrarre il virus” se non ci fosse stata “un’opera di demonizzazione” che ha allontanato anche i giovani, aggiungendo che la situazione ancora può e deve cambiare. A spiegare a ilfattoquotidiano.it perché sia proprio questo il momento giusto per scaricare l’applicazione è Stefano Denicolai, professore di ‘Innovation and Management’ nel Dipartimento di Scienze Economiche e Aziendali dell’Università di Pavia e membro della task force italiana anti-Covid nella sezione incaricata di Web data e impatto socio-economico.
Professore, perché questo è il momento più opportuno per scaricare l’applicazione?
“Perché questa app è soprattutto uno strumento preventivo. Ci aspettavamo che, fin quando il numero di contagi fosse rimasto basso, anche i download non sarebbero aumentati di molto. Con l’arrivo dell’estate c’è stato un rilassamento generale. Con le prime notizie più allarmanti e i casi di Covid-19 che sono tornati a salire, il trend sta cambiando. Meglio sarebbe stato farlo prima, per evitare situazioni come quelle avvenute in Sardegna, ma oggi occorre più che mai scaricare Immuni per contribuire, ognuno facendo la propria parte, a evitare che la situazione precipiti. Di fatto Immuni ha già fermato diversi focolai e sappiamo che anche uno solo può generare migliaia di contagi. Non possiamo dire con esattezza quanti focolai sono stati bloccati perché il numero è in corso di elaborazione, ma ogni giorno ci rendiamo conto della sua utilità. Per questo, con la task force stiamo lavorando proprio per far sì che si passi ad un approccio preventivo”.
Ma quante persone hanno saputo di aver contratto il virus grazie a Immuni?
“Circa mille. E si sono potute curare in anticipo. Non mi sembra affatto poco, considerando che il virus uccide principalmente se si hanno patologie pregresse o se si arriva a compromettere il polmone. Questo può avvenire se si arriva tardi a una diagnosi o se il sistema sanitario collassa. E Immuni può aiutare a prevenire proprio quest’ultima eventualità”.
Cinque milioni sono ancora troppo pochi?
“Noi crediamo e speriamo che aumenteranno a breve, ma dico anche che il numero nazionale non mi appassiona, perché la diffusione locale conta ancora di più. Immuni dovrebbe diffondersi sul territorio formando prima piccole bolle, un po’ allo stesso modo in cui si è diffuso il contagio, per arrivare anche nei territori a rischio. Funziona molto a isola. In realtà già oggi Immuni può contare su percentuali di download molto diverse a seconda delle diverse aree del Paese. Cinque milioni di cellulari possono sembrare pochi ma, secondo le stime di Università di Pavia, si tratta di una distribuzione non uniforme fra le diverse regioni. In Trentino Alto Adige, Abruzzo, Marche, Liguria si è attorno al 20%. In alcune provincie di queste regioni anche più in su e in alcune aree si arriva al 50 per cento. E con quella percentuale si è protetti. Il picchi sono trainati da un trend molto positivo ad agosto. E poi ci sono progetti in corso, come quello avviato a Capri, che vede coinvolte le istituzioni locali affinché si raggiunga l’obiettivo del 70 per cento dei download e il monitoraggio sperimentale avviato con gli studenti dell’Università di Pavia”.
Secondo lei, cosa frena ancora gli italiani che non hanno scaricato Immuni?
“Abbiamo in corso uno studio. La principale preoccupazione delle persone è quella di non sapere chi l’ha scaricata tra i conoscenti: gli amici, i vicini di casa, i colleghi. Perché questa è un’app che non dà molti feedback, ma funziona un po’ come un social network. La scarichi se sai che ce l’hanno anche gli altri, sia per un effetto di imitazione, sia perché in questo modo ne percepisci davvero l’utilità. E qui bisogna mandare un messaggio chiaro: non aspettate che l’amico la scarichi, scaricatela prima voi. Sulla questione della privacy si è molto dibattuto, ma è molto meno rilevante rispetto a quello che si potrebbe pensare. Ormai è assodato, è stato riconosciuto anche a livello internazionale, che si tratta di un sistema in cui si è dato molto peso alla privacy, forse anche troppo. I dati sono all’interno del cellulare, trasferiti solo se serve. E poi c’è il freno dovuto a un fraintendimento: molti pensano ancora che, una volta avuta la certezza di aver contratto il Covid-19, si sarà obbligati alla quarantena. Non esiste alcun obbligo in tal senso, non si è neppure costretti a rivolgersi al medico di famiglia, anche se l’isolamento viene consigliato. Non solo: non c’è neppure l’obbligo di notificare agli altri utenti che si è contratto il virus. Insomma, più privacy di così. Un altra ragione che ha finora spinto una parte dei cittadini a non scaricare la app è legata alla politica. C’è anche chi non la utilizza, per mancanza di fiducia verso il governo. A prescindere dall’utilità”.
Molto ha fatto discutere anche il tema dei falsi positivi?
“È un aspetto da approfondire, sul quale sapremo di più quando potremo fare analisi su un numero maggiore di download. Ci sarà certamente chi riceverà una notifica e non avrà contratto il virus, ma il tema è quello dell’ottimizzazione del sistema sanitario. Si tende a trattare Immuni come qualcosa di nuovo, ma in realtà questa app si adegua al protocollo che seguirebbe qualsiasi medico. Se Giuseppe Rossi contrae il virus, il medico gli chiede di ricostruire i contatti avuti nelle ultime due settimane. L’unica differenza è che Giuseppe Rossi farà molta più fatica, e sarà molto meno preciso, nel ricostruire questa rete e potrebbe essere anche non avere molta voglia di raccontare al medico con chi e dove era. Si automatizza un passaggio critico ma cruciale per contenere epidemia”.
Alla luce dei contagi nelle discoteche e nei luoghi pubblici, non sarebbe opportuno (e possibile) obbligare la clientela a scaricare la app?
“È illegale. Se fossi stato il legislatore, avrei creato una serie di incentivi. Non abbiamo più, ad esempio, l’obbligo delle autodichiarazioni e speriamo di non dover tornare indietro, ma potrebbe essere utilizzata una app che fa le due cose. È un’idea”.
Apple e Google integreranno a breve nei loro sistemi una funzione attraverso la quale, anche senza la app, si potranno ricevere le notifiche di esposizione, in caso di contatto con una persona positiva al Covid-19. Quando saranno rese disponibili le nuove versioni di iOS e Android, non ci sarà più bisogno di Immuni?
“Assolutamente no. È una non notizia. Per Apple e Google stanno semplicemente seguendo una road map già delineata. Tutti gli addetti ai lavori sapevano mesi fa che sarebbe stata integrata questa funzione e Immuni è stata progettata tenendone conto. Solo che ci sono diverse differenze tra la app e questa funzione. Intanto non è chiaro se la funzione sarà disponibile anche in Italia, perché è pensata più per gli Stati Uniti e l’India, Paesi frammentati in sistemi sanitari indipendenti tra loro e che avevano bisogno di un livello intermedio che facesse da collante per i dati. Immuni è stata progettata, invece, come molte app europee, che hanno infatti caratteristiche piuttosto simili. E comunque, anche se dovesse arrivare in Italia, il sistema non potrebbe sostituire l’app, perché questa nuova funzione potrà sì mandare la notifica di esposizione, in caso di contatto con una persona contagiata, ma solo Immuni consente di caricare i propri codici per segnalare una eventuale positività. Se nessuno ha l’app per segnalare la propria positività, il sistema non può funzionare. Anzi, mi preoccupa l’eventuale integrazione anche in Italia, perché gli utenti potrebbero essere indotti a pensare che scaricare l’app non è più necessario. È assolutamente falso. Tra l’altro, resta il punto interrogativo del Garante della privacy, che ha dato l’ok a Immuni e che potrebbe non giungere alla stessa conclusione. Oggi, lo ricordo, i dati restano solo sul cellulare e il trattamento è gestito dal Governo, ma le cose potrebbero cambiare se a occuparsene fossero direttamente Google o Apple”.