Cinema

Mostra del Cinema di Venezia, là dove si inseguiva lo sguardo di Brad Pitt o di Scarlett Johansson c’è un antidiluviano e buio Vicolo Corto

Una cinquantina di metri di plastica bianca spessa mezzo metro e alta tre/quattro coprirà la visione del red carpet dalla strada del lungomare del Lido. Superato lo scoglio Covid, che ogni giorno sembra sempre più il meteorite di Melancholia, c'è il Concorso

di Davide Turrini

Il muro di Venezia. Inizia così la 77esima edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica. Con una cinquantina di metri di plastica bianca spessa mezzo metro e alta tre/quattro a coprire la visione del red carpet dalla strada del lungomare del Lido. Là dove si inseguiva lo sguardo di Brad Pitt o di Scarlett Johansson, oggi c’è un antidiluviano e buio Vicolo Corto. Per il Covid, ovvio, questo ed altro. Niente assembramenti, niente spintoni, niente file, niente passerella e niente autografi. Solo sani distanziamenti. Così Venezia 2020, nona direzione consecutiva dell’oramai papa Alberto Barbera II (il Barbera I fu l’interregno tra il 1999 e il 2001), il primo festival internazionale di cinema, con accreditati più o meno dimezzati post lockdown europeo causa coronavirus, rischia di essere una specie di evento non proprio graditissimo.

Tra le fila dei vecchi critici e cronisti, quelli che hanno visto il red carpet prendere il fuoco della contestazione, o l’anomia comunque collettiva dei primi anni ottanta, un po’ se lo chiedono: ma c’era bisogno davvero di organizzare questa edizione “fisica” di Venezia? La paura, sottotraccia, è palpabile. I bimbi a marzo 2020 dicevano “andrà tutto bene”. Ma l’interrogativo aleggia nell’aria: e se scappa il positivo che si fa? Venezia sospesa? Tutto il Lido in quarantena? Non bastano le mail dettagliatissime per blindare proiezioni, conferenze stampa e tragitto all’aperto tra una sala e l’altra, ovvero tenere sempre addosso la mascherina, anche a casa. Il timore che ci scappi il contagio è un’eventualità non così improbabile. E diventerebbe pure la notizia del momento. Figuriamoci. Barbera e Cicutto che fuggono in elicottero modello Zombie di Romero. Stampa (quella disgraziata come noi) e pubblico giù nel parcheggio del Lido a sbranarsi per un tampone.

Superato lo scoglio Covid, che ogni giorno sembra sempre più il meteorite di Melancholia, ecco il Concorso. Diciotto titoli, quattro film italiani, un paio di bricioline ine ine dall’America, un po’ di pesca a strascico su quello che era pronto, e finito in magazzino, il 28 febbraio scorso, e cortometraggi di grandi firme (Guadagnino, Almodovar, per dire) propagandati come eventi mondiali. Cosa vuoi mai: un film di due brontosauri come Amos Gitai e Andrei Konchalovsky non mancheranno di certo ad un festival. Invece la sorpresa del Concorso ci sarà? Il film azero In between dying prodotto dal messicano Carlos Reygadas sarà la rivelazione d’autore o toccherà all’indiano Il discepolo tutto incentrato sulla carriera piena di compromessi di un musicista classico di sitar? In mezzo, appunto, niente titoli Usa con qualche major pronta al lancio lungo, come gli anni scorsi, per gli Oscar (sempre che alla fine nel 2021 ci siano), e la truppa di italiani sempre più fremente nell’avere qualche alloro per riaprire tremanti le sale italiane da settembre in avanti.

Di una cosa siamo già sicuri: a Pierfrancesco Favino daranno la Coppa Volpi per Padrenostro di Claudio Noce dove interpreta Alfonso il papà del regista stesso, vittima nel 1976 dell’assalto armato di un gruppo di terroristi del Nap; mentre per la coppa Volpi al femminile toccherà a Frances McDormand protagonista solitaria dell’on the road Nomadland (distribuito dalla Disney). Sempre che Barbera non annulli all’ultimo istante le vituperate differenze di genere e dia un coppone unico transgender antiCovid così passa la paura. L’apertura tocca, Fuori Concorso, al redivivo Daniele Luchetti, autore di Lacci, tratto dal libro di Domenico Starnone. Luchetti arriva da un paio di opere davvero ispirate e divertenti (Io sono tempesta, Momenti di trascurabile felicità) che l’hanno rilanciato sia nella corrente auteur, sia in quella dei registi italiani da commedia che funziona commercialmente facendo sorridere.

Mentre la chiusura, ancora Fuori Concorso, è per Lasciami entrare, thriller a firma Stefano Mordini girato in una plumbea Venezia con il tris d’assi Stefano Accorsi, Valeria Golino, Maya Sansa. Sempre tra gli italiani in Concorso c’è il ritorno della regista eminentemente teatrale Emma Dante che porta a Venezia Le sorelle Macaluso, opera seconda (Via Castellana Bandiera era a Venezia in Concorso nel 2013), sempre tratta da una sua pièce, con in scena un ricco cast tutto al femminile. Mentre a sfidare i piani alti del Leone d’Oro ecco il ritorno di Gianfranco Rosi con il suo sesto documentario, Notturno, sulla guerra in Siria. Infine in Orizzonti spicca l’opera prima di Pietro Castellitto, figlio di Sergio, I predatori. Una commedia agrodolce che, come ha dichiarato Barbera, “ha coraggio di osare” e che nel plot sembra recuperare il proletariato romano effervescente di molti film di mamma Margaret e papà Sergio. Interessante anche l’esordio di Mauro Mancini con Non odiare, titolo italiano della Settimana Internazionale della Critica, dove l’affermato chirurgo di origine ebraica interpretato da Alessandro Gassmann lascia morire un ferito in un incidente perché ha la svastica tatuata sul petto con la conseguente vendetta dei due figli del morto nazista.

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