Cultura

“Philippe Daverio vedeva il mondo dell’arte come un paradiso dell’innocenza”: il ricordo di Vittorio Sgarbi a FqMagazine

"Era una persona divertente, allegra, piacevole, seria e rispettosa, amante del paradosso. La differenza sta proprio qui"

di Davide Turrini

“È stato lo storico dell’arte più significativo degli ultimi 25 anni”. Vittorio Sgarbi saluta così, ricordandolo al FQMagazine, Philippe Daverio morto la scorsa notte a 71 anni dopo una lunga malattia. Farfallino sgargiante, occhialetti tondeggianti ed eloquio brioso e penetrante, Daverio era diventato celebre al grande pubblico nella conduzione di Passepartout, la trasmissione dal taglio colloquiale e diretto su tutte le forme d’arte presenti in Italia, andata in onda su Rai3 (in replica poi in evo digitale su Rai5) dal 2001 al 2011. Daverio registrava le sue considerazioni e riflessioni ficcanti come frecce indiane dallo studio delle sue case di Milano e Capalbio poi allargatesi, come set, da diverse dimore storiche italiane.

Brillanti considerazioni dall’amico erudito più che lezioncine anonime cadute dall’alto di cattedre, Daverio era riuscito a creare una sorta di filo diretto con lo spettatore che all’ora del pranzo della domenica veniva catturato e ammaliato dai suoi percorsi nelle vie dell’arte italiana, come un affabulatore all’entrata della caverna dei sogni. Nato nel 1949 nell’alsaziana città di Mulhouse, sul confine conteso per secoli tra Francia e Germania, severa mamma francese e padre italiano, Daverio ebbe una sorta di formazione enciclopedica ottocentesca che si tradusse in studi (ma senza una laurea) alla Bocconi di Milano. Fu comunque negli anni Sessanta che scoprì e venne folgorato dall’arte. Divenne quindi gallerista e nel 1975 inaugurò la sua prima galleria in via Montenapoleone a Milano con esempi di avanguardia del primo Novecento appesi alle pareti. Nell’86 toccò a New York, ma è a Milano che si concentrò la sua passione e la sua attività di organizzatore culturale (nell’89 apre un’altra galleria in Corso Italia). Nel 1993 accettò l’assessorato all’Educazione e alla Cultura per il Comune di Milano improvvisamente conquistato dalla giunta leghista del sindaco Formentini.

Tante le polemiche e le provocazioni per l’assessorato di Daverio in una giunta che per rimanere in piedi raccolse nei suoi ultimi mesi anche i voti dell’allora PDS. Nel 1997, concluso il mandato, Daverio lasciò perdere l’ambito politico (solo nel 2009 si ricandidò senza successo alle provinciali nel PD per Filippo Penati) ed è nel mondo della tv che trova la sua naturale e vincente collocazione con Passpartout. “In un mondo dell’arte diviso per bande, con la critica d’arte avara e militante, Daverio ha rappresentato una dimensione non faziosa ma illustrativa”, spiega Sgarbi al FQMagazine. “Non aveva una posizione ideologica o politica, ma il grande merito di essere uno storico dell’arte al servizio del popolo, mentre i potenti Celant, Calvesi e Bonito Oliva vivevano in una stratosfera lontana dal popolo. Daverio vedeva il mondo dell’arte come fosse un paradiso dell’innocenza. Era una persona divertente, allegra, piacevole, seria e rispettosa, amante del paradosso. La differenza sta proprio qui. Mentre alla morte di Calvesi, di Celant, di Bonito Oliva, no Bonito Oliva è ancora vivo, è stata questione di attenzione per poco più di mille persone, in queste ore sono centinaia di migliaia le persone che ricordano Daverio”.

“Philippe si definiva un antropologo. Pur di formazione crucca aveva importato dal mondo anglosassone un modo di divulgare l’arte in televisione dove la manifestazione artistica veniva inserita e raccontata nel suo ricco e dettagliato contesto storico”, ricorda Massimo Negri, docente e studioso, ma soprattutto amico di Daverio, al FQMagazine. “C’è quel gesto in cui entra o esce fuori campo dall’inquadratura, prima o dopo la sequenza da registrare. È una cosa che si deve essere inventato lui perché Philippe aveva già da ragazzo quel physique du role. A 20 anni nel ’68 durante le manifestazioni indossava già il panciotto e il cravattino. Certo, a livello di studi non era uno sistematico, era un autodidatta, ma sapeva parlare al pubblico un po’ come si mangia. Aveva sì espressioni forbite e poteva risultare arduo talvolta, ma la gente capiva spesso qualcosa e si appassionava. Lo sapete che lo fermavano le persone per strada o anche in Autogrill, gente di ogni classe sociale e non si sentiva in soggezione?”.

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