Trash-Chic

Verdone, Kaufmann e Achille Lauro. L’accostamento sembra bizzarro invece in una notte di mezz’estate…

Il dribbling di chi non se ne voleva perdere nemmeno uno.“ Poveri loro. Noi siamo gli ultimi romantici, loro oggi sono ricchi o arricchiti, come di dice, ma si sa, nessuno è perfetto”…, al debutto  di “La Juve nuoce alla salute”

Carlo Verdone portava al Madre le sue “Nuvole”, scatti di tramonti e tempeste, della sua prima personale fotografica, Jonas Kaufmann, il tenore numero uno al mondo, saliva sul palco del Teatro San Carlo nella plein d’air di piazza Plebiscito e arieggiava l’Aida, Achille Lauro presentava il suo pamphlet “La Juve nuoce alla salute”. Il tutto accadeva in una notte stellata sotto il cielo di Napoli. Ma lasciatemi aggiungere, lettori cari, che non si tratta del rapper ma del nipote prediletto del “O’ Comandante”.

Chi l’avrebbe mai detto che l’armatore che diede filo da torcere ad Onassis nella conquista delle rotte del Mediterraneo (e non solo), l’inventore del calcio mercato (assai prima di Berlusconi), modi folleggianti da impertinente macho/sciupafemmine, sarebbe stato poi scansato nelle indicizzazioni dei motori di ricerca (Google e company) da un rapper spuntato dal nulla che con i suoi caleidoscopici travestimenti diventa pure icona del gender fluid.

Ben salda invece rimane la fede calcistica professata dal “La Juve nuoce alla salute”, edito da Guida, che manifesta l’avversione storica entrata nel Dna del tifoso napoletano nei confronti dei bianconeri. La racconta con profusione d’ironia un azzurro doc, Achille Lauro (l’originale non il tipo con il cognome clonato) nipote e figlio di Presidenti: Achille, il Comandante, che fu anche sindaco di Napoli, e Gioacchino. Nonno e padre, glamour e celebrità, Achille Eugenio (aggiungiamo il secondo nome per distinguerlo dal rapper), riservato e tranquillo.

Lauro spiega i motivi quasi “scientifici” di questa antipatia cresciuta come panna montata tra falli, dribbling, Tifoseria bestiale,calci di rigore, giudici poco “regolari”, curva B imbufalita, striscioni vaffanculisti, scudetti mancati. E non ultima la soddisfazione di aver regalato un qualche dispiacere ai bianconeri, come la conquista della Coppa Italia nella finale del 17 giugno 1962 . Per il Napoli fu come vincere il Campionato Mondiale. Per non parlare dello scudetto vinto nel ’87 con tanto di jam session improvvisata da Renzo Arbore, con J, Peppino Di Capri, Nino D’Angelo, Teresa De Sio, Marisa Laurito, Mario Merola, Tulio De Piscopo e James Senese. Una stagione assolutamente irripetibile. ( Per i cinofili il doc “James” sarà pure in cartellone a Venezia).

Presentato in pompa magna al Circolo Tennis Club, spalancato su via Caracciolo, Riccardo Villari, onorevole e presidente al quadrato, del Circolo e della Città della Scienza, veracemente empatico, colui che ha portato in Parlamento il Calcio Napoli, ma sopratutto è quello che ha condiviso ricordi d’infanzia della squadra del cuore con Achille Eugenio. Erano due pischelli di 12 anni quando andavano a tirare pallonate allo Stadio San Paolo e facevano pressing con Sivori, uno dei più grandi giocatori di tutti i tempi.

“Omar, il sinistro di Dio, ad ogni inizio partita, celebrava una sorta di rito: prendeva il pallone dalle mani dell’arbitro e lo calciava nella porta vuota, tra il boato indimenticabile del S.Paolo -comincia l’amarcord di Villari- Achille e io, al tempo di Gioacchino presidente, guardavamo le partite direttamente dal campo, di fianco all’allenatore. Scimmiotavamo Sivori e calciavamo pure noi nella porta vuota. Il lunedì a scuola, ci pavoneggiavamo con i nostri compagni di classe, molti dei quali, alla domenica, ci guardavano sbavando dagli spalti”. Presidente, come era il Napoli al tempo del Comandante?

“Profumato. Proprio così. Come dimenticare infatti, quel profumo di canfora che inondava gli spogliatoi per ammorbidire con sapienti massaggi, i polpacci dei vari Altafini, Sivori, Canè…? E come fa notare Achille Eugenio ci sarebbe voluta un’altra mano de dios per salvare Maradona dai suoi guai ( fisco, cocaina, camorra. Decidete voi l’ordine). Invece “E’ stata la mano di Dio” (che il 22 giugno 1986 segnò il goal decisivo ai Mondiali di Calcio) diventa un film intimo, allegro e doloroso per Paolo Sorrentino. E Diego Armando, dalla maradonite acuta non si guarisce mai, minaccia azioni legali.
Non è colpa loro se sono juventini, allarga le braccia Riccardo. “ Poveri loro. Noi siamo gli ultimi romantici, loro oggi sono ricchi o arricchiti, come di dice, ma si sa, nessuno è perfetto”….

Pagina Facebook di Januaria Piromallo