Il quotidiano Repubblica fa l'elenco dei boss scarcerati durante la pandemia ancora ai domiciliari. La replica guardasigilli, autore del decreto che impone ai tribunali di Sorveglianza di rivalutare in 15 giorni se sussistono ancora i motivi legati all’emergenza sanitaria: "Sono tutti tornati davanti ad un giudice. Avviato uno stretto monitoraggio". Grazie a quel decreto sono tornati in carcere 111 mafiosi. Meloni e Salvini all'attacco: "Vergogna, si dimetta"
Circa la metà dei boss mafiosi ai quali sono stati concessi gli arresti domiciliari durante l’emergenza coronavirus è ancora fuori dal carcere. Lo sostiene il quotidiano Repubblica, che quantifica in 112 i mafiosi e i narcotrafficanti liberati durante il lockdown e non rientrati in cella nonostante il decreto varato nel mese di maggio dal ministro Alfonso Bonafede. Durante l’emergenza coronavirus, infatti, i giudici di sorveglianza avevano concesso i domiciliari a 223 detenuti in regimi di Alta sicurezza e 41 bis. Scarcerazioni ordinate dai tribunali per un presunto rischio contagio dentro ai penitenziari e legati anche a una circolare diffusa dal Dipartimento amministrazione penitenziaria, guidato in quel periodo da Francesco Basentini. Dopo il cambio dei vertici del Dap, con la nomina di due pm antimafia come Dino Petralia e Roberto Tartaglia, il guardasigilli ha fatto varare un decreto che in pratica impone ai giudici di Sorveglianza di rivalutare in 15 giorni se sussistono ancora i motivi legati all’emergenza sanitaria.
Dunque la situazione dei 112 boss ancora liberi è stata già rivalutata dai tribunali di Sorveglianza. Lo fa notare lo stesso ministro della giustizia con un post su Facebook. “Dopo le note scarcerazioni, decise dalla magistratura in piena autonomia e indipendenza nel bel mezzo della pandemia, su mia iniziativa il governo ha approvato due decreti, che hanno imposto di rivalutare, con il parere obbligatorio delle direzioni distrettuali antimafia, la posizione di TUTTI i detenuti per reati gravi posti ai domiciliari. Sono decreti che hanno modificato leggi in vigore da almeno cinquanta anni e che nessuno aveva mai cambiato”, scrive Bonafede sulla sua pagina. “In base a quanto previsto – aggiunge – i detenuti (posti ai domiciliari, ci tengo a ribadirlo, in forza di un provvedimento giudiziario) sono dunque tornati davanti ad un giudice, che ha preso le sue decisioni, ovviamente in assoluta autonomia”. L’inquilino di via Arenula, in ogni caso, spiega di aver “già avviato uno stretto monitoraggio per verificare l’applicazione dei due decreti antimafia”.
Parole che non sono bastate al centrodestra, tornato all’attacco del guardasigilli a pochi mesi dalla mozione di sfiducia presentata contro il ministro in Senato (e poi bocciata). “È scandaloso che 112 mafiosi e narcotrafficanti scarcerati durante il lockdown non siano mai tornati dietro le sbarre e si trovino ancora ai domiciliari. Il ‘sommo scarceratore di boss’ Bonafede aveva giurato che dopo averli liberati li avrebbe riportati uno ad uno in galera, ma era una colossale menzogna e ora si dimetta”, dichiara Giorgia Meloni, ignorando il fatto che a valutare le istanze dei detenuti è sempre il tribunale di sorveglianza. In serata è il leader della Lega Matteo Salvini a rincarare la dose: “L’Italia non merita un governo così incapace e pericoloso. Chi sceglie la Lega sceglie la certezza della pena, chi sceglie il Pd preferisce le rivolte e i boss a casa“. L’ex sottosegretario del Carroccio Jacopo Morrone definisce una “beffa” i decreti Bonafede, mentre il forzista Gasparri sostiene che il ministro “sta coprendo il Paese di vergogna”.
A mettere un punto fermo sulla vicenda ci ha pensato il garante dei detenuti, Mauro Palma, secondo cui “di persona detenuta al 41 bis attualmente ancora ai domiciliari ce n’è una sola, pendente il ricorso davanti alla Corte Costituzionale“. Il riferimento è per Pasquale Zagaria, la mente economica del clan dei Casalesi: analizzando il suo caso il tribunale di Sorveglianza di Sassari ha sollevato eccezione di illegittimità costituzionale dello stesso decreto Bonafede, emanato per frenare la scarcerazione di boss durante la pandemia. Tra i nomi di chi è ancora ai domiciliari c’è il costruttore Pino Sansone, ex vicino di casa di Totò Riina, Gino Bontempo, il ras della mafia dei pascoli sui Nebrodi e l’ergastolano Ciccio La Rocca, 82enne padrino di Caltagirone su cui aveva indagato il giudice Giovanni Falcone. In origine si era parlato di 498 detenuti scarcerati fra alta sorveglianza e 41 bis durante l’epidemia. Dopo il loro insediamento, però, i nuovi vertici del Dap hanno passato in rassegna tutti i fascicoli dei boss andati ai domiciliari ed è salto fuori che appunto erano “solo” 223 (102 sottoposti a misura cautelare, 121 a condanna definitiva) quelli scarcerati per ragioni connesse al rischio covid. Gli altri 275 erano finiti ai domiciliari per cause diverse e indipendenti dalla pandemia.
Sono invece 111 i mafiosi tornati in carcere grazie al decreto Bonafede. “E’ un risultato importante, il meccanismo del decreto si è rivelato decisivo perché, rispettandol’autonomia dei giudici, li ha chiamati a riconsiderare tutti i provvedimenti di scarcerazione e ha consentito di fare rientrare in carcere i boss più pericolosi”, spiegano da via Arenula. Tra i mafiosi di spicco tornati in carcere c’è Francesco Bonura, uno dei colonnelli di Bernardo Provenzano, e il boss dell’Ndrangheta Vincenzino Iannazzo: entrambi erano al 41bis. Sono tornati dietro le sbarre anche Franco Cataldo, uno dei carcerieri del piccolo Giuseppe Di Matteo, il killer Nino Sudato, Francesco Barivelo, cioè l’assassino dell’agente di polizia penitenziaria Carmelo Magli, Antonio Romeo, e Rosalia Di Trapani, moglie del capomafia Salvatore Lo Piccolo .