Si parla molto di oro, arrivato anche sopra i 2.000 dollari l’oncia, e si leggono vari consigli, di regola insulsi. Sorvoliamo sulle sparate del tipo: “Gli esperti prezzano il metallo giallo anche oltre i 3.000 dollari” (Corriere della Sera, 24 agosto 2020). È tempo perso stare a sentire le previsioni di tali pretesi esperti. Quelli che veramente sanno o possono sapere qualcosa sull’oro, come i governatori delle principali banche centrali, tengono la bocca chiusa.

Chi pensa di comprare oro deve piuttosto chiedersi se la sua ottica è speculativa o difensiva.

1. Il primo è il caso di chi punta a rivenderlo, ovviamente in guadagno. Converrà allora rivolgersi al cosiddetto oro finanziario, soprattutto per i costi di compravendita molto minori. Cioè Etf, Etc, future, conti-oro presso alcune banche ecc. Al riguardo rimando al mio articolo.

2. Il secondo è il caso di chi vuole tenere stabilmente una quota del suo patrimonio in un bene reale, affinché resti al di fuori dell’universo bancario-finanziario. Dovrà allora investire nel cosiddetto oro fisico. Ovvero in oro vero e proprio, lingotti o monete auree non numismatiche.

Molti, che hanno tale impostazione, commettono però una grave imprudenza. A chi compra lingotti vengono proposte soluzioni accattivanti, perché molto comode, in quanto risolvono il problema di dove metterli, una volta acquistati. Ci pensa chi glieli vende a tenerli, al posto suo, in casseforti e caveau, doverosamente assicurati. In Rete è molto presente in particolare Bullionvault di Londra, con tantissime “recensioni” che paiono uscite da un’agenzia di pubblicità. Tutte sfrenatamente entusiastiche. Bah! Possibile che Bullionvault sia la perfezione in terra?

A parte ciò, è una formula che comunque non va bene per chi pensa di “mettere al sicuro” in oro una quota del proprio patrimonio e non pensarci più. Saranno pure tutti galantuomini gli attuali amministratori di Bullionvault, della milanese Confinvest e altre ditte che offrono tale servizio, ma essi possono venire sostituiti da altri. Pure gli azionisti di tali società possono cambiare. E in futuro possono arrivare imbroglioni al posto degli onesti.

Che ripercussioni potrebbe poi avere su tali società una grossa crisi economico-finanziaria di dimensioni globali? Già col coronavirus sono venuti alla luce ostacoli agli spostamenti di lingotti durante il lockdown. Insomma, potrà capitare di tutto e il risparmiatore si troverà in mano solo un contratto con una società privata, magari estera e neppure vigilata come le banche o le assicurazioni.

Solo detenendo direttamente lui l’oro in cassette di sicurezza, in casseforti, murato in casa, sepolto in giardino ecc. il risparmiatore è protetto nel caso di un crac del sistema finanziario mondiale, ma anche da future malversazioni. Per i rischi di furto poi può tutelarsi con un’assicurazione aggiuntiva al canone della cassetta di sicurezza a costi accettabili.

Conclusione, tenere l’oro presso il venditore non ha quasi mai senso: un risparmiatore che teme sconquassi economico-finanziari generalizzati e cerca la massima sicurezza a lungo termine farà bene a non lasciare ad altri il suo oro. Dopo averlo comprato magari anche dalle società citate (e non entro nel merito se siano quelle o altre a offrire condizioni migliori), se lo farà consegnare. Per chi invece esclude scenari estremi, tanto vale rivolgersi al cosiddetto oro finanziario con costi d’intermediazione inferiori.

Per completezza aggiungo due informazioni sempre riguardo all’investimento in oro:

1. A chi vuole puntare sull’oro alcuni consigliano di comprare azioni di società aurifere. È un consiglio pasticciato: l’andamento delle loro azioni dipende da tanti altri fattori oltre che le quotazioni dell’oro. Il valore delle azioni di una società aurifera possono crollare, anche se l’oro sale. Le azioni Parmalat si sono azzerate, benché il prezzo del latte non fosse sceso.

2. Non è vero che l’oro mantiene a lungo termine il suo potere d’acquisto: a volte sì, a volte no. Per esempio da fine 1980 a fine 1998 la perdita reale per un risparmiatore italiano fu del 73%. Anzi, considerando le commissioni, fu addirittura maggiore.

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