Insieme al Gabibbo ha passeggiato per le sale del Palazzo Reale di Milano nelle quali nel 2001 era in corso la mostra Picasso, 200 capolavori dal 1898 al 1972. In una delle puntate migliori di Passpartout, la trasmissione andata in onda sui Rai 3 dal 2001 al 2011, Philippe Daverio ha esibito tutto il suo repertorio. Commentando con il suo stile alcuni passaggi della biografia dell’artista.
Perché la sua cifra era il suo inconfondibile stile, ancor più delle sue conoscenze, forse. Ma in ogni caso stile e conoscenze, insieme, hanno fornito a molti lo stimolo per interessarsi al mondo dell’arte. Ad alcuni suoi protagonisti. Per questi motivi e altri ancora la scomparsa di Daverio costituisce una circostanza funesta. Un corto circuito con il quale bisognerà fare i conti.
Ma intanto ci sono le testimonianze. Di colleghi televisivi, considerate le numerose occasioni nelle quali Daverio ha partecipato a tante trasmissioni come ospite, oltre che da conduttore. Ma anche di storici dell’arte, alla cui cerchia era iscritto, pur non essendolo nella realtà. Dal momento che aveva studiato Economia e commercio, peraltro senza essersi mai laureato. Ma presto era entrato in contatto con il mondo delle gallerie d’arte e da li in poi i suoi interessi sono andati in quella direzione. Mosso da una curiosità inesauribile. Che si è trasformata in un efficacissimo propellente.
“Philippe Daverio è stato un farfallone della cultura, un amatore dell’arte, un seduttore della divulgazione culturale, un farfallone col farfallino… era colto anzi coltissimo (anche più di molti storici) e fu un abile comunicatore capace di svolazzare sulle cose, mettendoci molto del suo; certe volte i colori della farfalla prendono il sopravvento rispetto agli oggetti su cui si posa, altre volte quelle ali sottilissime si mimetizzano fino a scomparire… i brevi testi che accompagnavano i suoi programmi, colorati e più spesso coloriti, erano pieni di imprecisioni, collegamenti strampalati, voli pindarici e atterraggi di fortuna. Ma quella del divulgare è una professione funambolica, sempre in bilico tra l’essere troppo difficile per i semplici e troppo semplificato per i dotti. Bisogna essere densi ma leggeri, volar via lasciando però qualche segno impresso nella memoria. E lui il segno l’ha lasciato”. Claudio Gamba, docente di Storia dell’Arte presso l’Accademia di belle Arti “Mario Sironi” di Sassari, non ha dubbi.
E ha ragione. Perché Daverio ha avuto anche il merito di dare un respiro europeo alle sue considerazioni. Di allargare lo sguardo. Di far viaggiare nel tempo e nello spazio chi ne leggeva i libri e chi ne ascoltava gli interventi.
“La gente di solito va nei musei, guarda 400 quadri in un’ora e mezza. I luoghi nei quali ci sono i quadri si chiamano pinacoteche, così come esistono i luoghi nei quali ci sono i libri che si chiamano biblioteche. Nessuno va in biblioteca e legge tutti i libri, piuttosto ne prende uno o due, di libri. Uno che va in una pinacoteca dovrebbe andare a vedere uno, due quadri al giorno. Avrebbe così il tempo di capire”.
In una puntata di Che tempo che fa, di qualche anno fa, Daverio spiega come si guardano i quadri. Invitando alla riflessione, ad una osservazione attenta. Insomma proprio l’opposto di quel che le grandi mostre, come le sale di tanti Musei, permettono. Se curatori e direttori lavorassero per sovvertire lo status quo, le conoscenze di tante persone ne guadagnerebbero. Non solo. Sarebbe anche il modo migliore per rendere omaggio a Daverio.