Una grande marcia a tappe forzate. Lo sviluppo di un vaccino attivo ed efficace per prevenire Sars Cov 2 ormai è una sfida che dai laboratori è passata alle stanze dei bottoni, due in particolare: quelle della Casa Bianca e quelle del Cremlino. Uno spillover che però potrebbe avere effetti devastanti sulla salute pubblica. Donald Trump, che a maggio aveva ideato l’operazione non a caso denominata Warp Speed, potrebbe chiedere alla Food and Drug Admnistration di autorizzare uno dei potenziali candidati prima che sia terminata la fase III dei test. Contemporaneamente anche da Oxford/AstraZeneca arriva la notizia che il composto, il cui vettore virale è prodotto a Pomezia, potrebbe essere disponibile a novembre. Ilfattoquotidiano.it ha chiesto a Silvio Garattini, farmacologo e presidente dell’Istituto Mario Negri, quali sono i rischi di fare ricerca alla velocità della luce senza completare l’ultima fase della sperimentazione, quella in cui a un alto numero di persone (30mila nel caso del vaccino) viene somministrato il composto per verificarne sicurezza ed efficacia.
Professore cosa ne pensa?
Sarebbe disastroso perché in qualche modo si autorizzerebbe un vaccino prima che ci siano le evidenze scientifiche per farlo. Io credo che la fase III debba essere terminata perché soltanto tutti i dati potranno dirci se il vaccino è valido o no. Soprattutto la fase III deve essere robusta in termini di persone che partecipano perché quello che si vuole vedere non è solo l’efficacia, che naturalmente è stata vista nella fase I e II, ma soprattutto la sicurezza: perché noi somministriamo il vaccino a soggetti sani e quindi dobbiamo avere la sicurezza di non produrre danni che potrebbero essere superiori ai benefici che si attendono. Solo su test un grande numero di persone si può stabilire la percentuale di efficacia e per contro qual è la percentuale degli effetti collaterali e di che tipo sono. Lo possiamo sapere solo se il numero è sufficientemente grande. Un conto è avere un effetto collaterale grave su 100 persone, un conto su 1000
La Fda però sembra intenzionata a procedere. È stata inviata una direttiva ai funzionari della sanità per prepararsi a distribuire un potenziale vaccino alla fine di ottobre. Ha anche fornito scenari di pianificazione per aiutare gli stati a prepararsi.
Lo scienziato Eric Topol ha inviato una lettera Stephen Hahn, commissario nominato a dicembre alla guida della Fda, per invitarlo a dire qual è la situazione o dare le dimissioni citando tre casi: l’idrissoclorochina (che prendeva Trump, ndr) autorizzata e revocata, la plasmaterapia su cui ha dovuto fare una correzione, e poi l’annuncio che avrebbe approvato il vaccino anche se non era completata la fase III. Negli Stati Uniti sappiamo che ci sono le presidenziali.
Ma Anthony Fauci ha indicato la possibilità che un vaccino potrebbe essere disponibile prima del completamento di tutti i test necessari, se i risultati ottenuti dessero esito ampiamente positivo.
Che si possa accelerare è una questione di volontà e di risorse disponibili per mettere subito al lavoro gente che esamini. Si può farlo in tempi relativamente più brevi. Io penso che ragionevolmente a inizio anno ci sia vaccino disponibile. Aspettiamo, non scambiano le speranze per i dati di fatto. Comunque dipende dal reclutamento delle persone: può essere che i 30mila test siano stati già raggiunti oggi e quindi avremmo il vaccino per ottobre. Non dobbiamo dimenticare che per la prima volta nella storia dei vaccini, siccome c’è stata una grande abbondanza di risorse economiche messe a disposizione, ci sono alcune case farmaceutiche che stanno già producendo il vaccino indipendentemente dagli esiti. Se sarà attivo è già pronto, se non sarà attivo butteremo via tutto. Solo questo sostiene l’idea che ci possa essere una certa accelerazione: perché il vaccino lo stanno già preparando (AstraZeneca ha iniziato a giugno, ndr)
Quindi è possibile?
Possibilità teorica. Se tutto va bene, se non c’è nessun intoppo può darsi che a fine ottobre ci possa essere la possibilità di cominciare a vaccinare qualcuno. Però c’è tutta una serie di se che devono andar bene. È più ragionevole pensare che succederà all’inizio del 2021, cominciando a vaccinare le persone più a rischio.
Anche la Russia ha lanciato il vaccino “Sputnik”e lo ha fatto Putin in persona
Non è una cosa che riguardi noi, è in fase I e il ministro della Salute russo ha parlato di produzione limitata. Riguarda soltanto la Russia e non verrà esportato. Non potrebbe comunque essere utilizzato senza l’autorizzazione dell’Ema, l’agenzia europea del farmaco.
Ma il presidente venezuelano Maduro dice che lo farà e offrirà 500 volontari…
Una boutade.
Anche l’Italia ha iniziato i test e il direttore scientifico dello Spallanzani ha detto che “entriamo da protagonisti in questa guerra, per non essere schiavi di altri Paesi che diranno io prima”.
L’idea di chi arriva prima è un’idea che nel campo della scienza ha un significato e c’è l’ha perché siamo in una emergenza, perché vogliamo dare una soluzione al più presto possibile a questa pandemia. Quello che conta è cominciare ad averne uno, magari gli altri che arriveranno saranno più raffinati. Questo tipo di pandemia non sembra destinata a sparire rapidamente e comunque anche se non potremo usare i vaccini, impareremo cose nuove. L’aspetto positivo è che questa situazione può aiutare a migliorare le conoscenze per un problema, quello delle malattie infettive, che è destinato ad aumentare. Abbiamo avuto un periodo in cui le malattie infettive erano la principale causa di morte, gli antibiotici hanno in qualche modo risolto la maggior parte di queste malattie e c’era sorpresa se qualcuno moriva di polmonite. Adesso le infezioni risentono della globalizzazione: viaggiamo noi, viaggiano le merci e viaggiano anche virus e batteri e quindi siamo più esposti di quanto non fossimo 30 anni fa.
Cosa dobbiamo fare?
Rivolgo e l’ho fatto con Medici senza frontiere già qualche mese fa un appello al governo. Sarebbe importante non puntare su un solo cavallo e al di là del vaccino se avessimo una terapia efficace potremmo sopperire, indipendentemente e in attesa del vaccino, con un farmaco attivo. Dovremmo avere anche noi una quota in questo.
Dobbiamo prepararci ad altre emergenze?
È un problema, di cui ci occupiamo poco perché siamo presi dalla pandemia, ma la resistenza agli antibiotici provoca 10mila morti all’anno. Avremo sempre più bisogno di avere armi nuove a disposizione contro le infezioni da virus e batteri perché abbiamo superato la fase in cui credevamo che le malattie infettive fossero ormai retaggio del passato e invece stanno ridiventando un problema molto importante anche perché non si è provveduto ad avere nuovi agenti. Va incoraggiata molto la realizzazione di questi anticorpi monoclonali. Bisogna dire l’Italia non è all’avanguardia perché la ricerca è penalizzata e ridotta a uno stato di miseria. Mi auguro che queste vicende facciano capire che senza ricerca non c’è sviluppo. Abbiamo la necessità che la ricerca venga rimessa al ruolo che deve avere per risolvere le questioni della salute e altri problemi. Questa pandemia e anche le altre infezioni da virus e batteri – ha visto il caso del citrobacter (il caso dell’ospedale di Verona, ndr) non è un problema che possiamo trascurare. Le malattie non ci abbandoneranno, è cambiato lo scenario e ora molti strumenti sono molto meno attivi. Dobbiamo prendere coscienza che siamo in un periodo in cui bisogna cambiare atteggiamento, pensare molto più alla prevenzione di quanto abbiamo fatto fino a oggi.