Nessuna situazione di emergenza, dicono le dichiarazioni ufficiali di Eni. Ma ai piani alti pare essere chiara una cosa: la petroliera Nabarima, ancorata al largo del Venezuela, senza le dovute contromisure rappresenta un rischio ambientale bello e buono. Lo dimostra il fatto che queste contromisure, ovvero trasferire su un’altra imbarcazione tutto il carico da 1,3 milioni di barili di greggio, Eni si sta adoperando per prenderle in queste ore. E anzi avrebbe voluto farlo già da mesi. Ma sinora non ha potuto prelevare il greggio e immetterlo nel proprio sistema di raffinazione, a causa delle sanzioni degli Stati Uniti contro il governo di Nicolàs Maduro.

La Nabarima batte infatti bandiera venezuelana ed è operata dalla Petrosucre, una joint venture controllata dalla compagnia statale Petróleos de Venezuela (PDVSA) con Eni socio di minoranza al 26%. È ancorata da dieci anni nel golfo di Paria, un pezzo di oceano racchiuso tra le coste orientali del Venezuela e le isole di Trinidad e Tobago, ed è utilizzata come deposito del greggio estratto dal giacimento di Corocoro. Nei giorni scorsi Eudis Girot, leader di un sindacato venezuelano antigovernativo, ha pubblicato alcune foto che mostravano l’inclinazione della nave e la sala macchine invasa dall’acqua, lanciando l’allarme sul rischio di sversamento di petrolio nel Mar dei Caraibi. Alcuni media hanno addirittura parlato di una nave “sul punto di affondare”.

Situazione negata da Eni, secondo cui “le condizioni della nave sono stabili e un recente ingresso d’acqua ci risulta essere già stato risolto”. Tuttavia in queste ore, dopo che le preoccupazioni sono salite a livello internazionale, PDVSA ed Eni si stanno dando da fare per pianificare lo svuotamento in sicurezza della Nabarima. Un’operazione che Eni avrebbe voluto mettere in moto già tempo fa. Secondo quanto riporta l’agenzia di stampa Reuters, infatti, la compagnia italiana ha pensato nei mesi scorsi di importare il greggio nel proprio sistema di raffinazione, in modo anche da compensare i dividendi in sospeso della Petrosucre. Ma un piano del genere, a causa delle sanzioni, ha bisogno dell’autorizzazione del dipartimento del Tesoro statunitense, a cui Eni ha presentato un rapporto sui rischi ambientali rappresentati dalla Nabarima. Un incontro tra Eni e funzionari americani era previsto a inizio anno, ma è stato rinviato più volte. Così l’autorizzazione non è mai arrivata.

La Reuters scrive anche che da quando sono state imposte le sanzioni, Eni ha prelevato altri tipi di greggio dal Venezuela per importarlo nel proprio sistema di raffinazione, ma nessun barile proveniente dal giacimento di Corocoro, fermo ormai da un anno. Contattata da ilfattoquotidiano.it, Eni ribadisce che al momento non ci sono rischi di sversamento e conferma che i prelievi di greggio venezuelano sinora effettuati sono “parte dei programmi di recupero crediti che rientrano nelle eccezioni concesse dal regime sanzionatorio. Eni sta collaborando con Petrosucre per definire e implementare un programma per lo scarico del greggio dalla Nabarima. Questo programma richiede l’utilizzo di un tanker a posizionamento dinamico e servizi tecnici, e per essere implementato richiede un nulla osta in virtù delle sanzioni Usa”. Nonostante il carico attualmente sulla Nabarima per gli accordi interni alla joint venture sia di proprietà di PDVSA, la necessità di un coinvolgimento di Eni nelle operazioni deriva dalle difficoltà economiche che la compagnia venezuelana sta affrontando a causa delle sanzioni. Alcuni lavoratori di Petrosucre hanno denunciato la mancanza di manutenzione e l’assenza a bordo di un numero adeguato di membri dell’equipaggio. È tra l’altro di un mese fa la fuoriuscita di petrolio da un altro impianto di PDVSA, la raffineria di El Palito, che ha inquinato più di dieci chilometri di coste caraibiche.

La situazione desta molte preoccupazioni anche a Trinidad e Tobago, nonostante il governo di Port of Spain si mostri cauto. “Le informazioni in arrivo dal Venezuela dicono che la nave è in condizioni stabili, in attesa della preparazione per il trasferimento del carico su un’altra imbarcazione – dice a ilfattoquotidiano.it il ministro dell’Energia Franklin Khan – Stiamo monitorando la situazione da vicino”. Parole che non soddisfano l’associazione ambientalista locale Fishermen and Friends of the Sea: “Il nostro governo deve fare delle verifiche che vadano al di là delle informazioni provenienti dal Venezuela – dice il segretario generale Gary Aboud – Non sappiamo quali rischi comporti l’operazione di trasferimento del greggio su un’altra nave. Se l’operazione dovesse non riuscire e la nave affondare, sarà una catastrofe. Dal golfo di Paria arriva il 70% del pesce consumato a Trinidad e Tobago e la pesca è un’attività che dà sostentamento a 6mila famiglie”.

*Foto dall’account twitter di Eudis Girot

Twitter: @gigi_gno

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