L’estate del 2007 si trasforma in un piccolo incubo per il Noicattaro. Perché all’ultima giornata del campionato precedente l’attaccante Claudio Doria si è rotto il ginocchio. Per la terza volta. Serve un sostituto, un giocatore da inserire da subito nelle rotazioni, uno in grado di segnare quei gol necessari per trasformare la permanenza in C2 in qualcosa di più concreto di un’utopia. Solo che il budget a disposizione è piuttosto scarno. C’è bisogno di un’idea. E anche alla svelta. All’improvviso l’allenatore dell’Altamura, Angelo Terracenere, alza il telefono e chiama il suo collega del Noicattaro, Pino Giusto. C’è un ragazzo che potrebbe svolgere alla perfezione il ruolo di quarto attaccante. Si chiama Ciccio Caputo e ha segnato una dozzina di gol in Eccellenza. Della trattativa se ne occupa il direttore Daniele Faggiano (ora al Genoa). A quell’attaccante di 21 anni viene chiesto di presentarsi per un provino. Ma bastano una manciata di allenamenti per mettergli una penna in mano e fargli firmare il contratto. Il Noicattaro ha la sua punta di scorta.
Le gerarchie saranno riscritte quasi subito. Caputo entra in punta di piedi, sta al suo posto, rispetta il ruolo. Ma sul campo lavoro sodo. Fino a quando non riesce a ritagliarsi il suo spazio. “In pochissimo tempo ci siamo resi conto di che giocatore era – racconta a ilfattoquotidiano.it proprio Claudio Doria – avevamo sentito parlare di lui, anche se non lo conoscevamo. Veniva da una categoria inferiore ma è stato subito in grado di darci un grande aiuto“. Il suo inserimento procede spedito, anche a causa del suo accento di Altamura che lo mette al centro di qualche canzonatura buona a compattare lo spogliatoio. “Era un ragazzo molto simpatico e piacevole, era bello starci insieme – continua Claudio Doria – ma allo stesso tempo era timido e silenzioso. Mi ha dato l’impressione di una persona per bene. Fra noi è nata un’amicizia anche se all’inizio eravamo rivali. Devo dire che con la sua intelligenza ha assorbito i segreti dei compagni più esperti senza mai creare rivalità negative”.
Caputo parte dalla panchina, ma inizia a segnare un gol dopo l’altro. Fino a diventare titolare. “È stato bravo a sfruttare tutti gli spazi che gli sono stati concessi – spiega Doria – ha lavorato sodo e si è fatto trovare pronto. La nostra stagione non stava andando benissimo e di solito l’attaccante è quello che soffre più di tutti quando una squadra che lotta per salvarsi è in difficoltà. Caputo invece ha mostrato una grande capacità fare di squadra, si sacrificava aiutando la difesa. È cresciuto costantemente e non si è mai sentito arrivato. Anzi, ha imparato da tutti, anche da quelli sbagliati”. I gol sono una logica conseguenza del suo lavoro. In tutta la stagione ne segna 11. E quasi tutti fondamentali. “Mi ricordo il gol che ha segnato all’Andria alla terzultima giornata, in un match che era uno spareggio per non retrocedere – sorride Doria – giocavamo in casa e vincemmo 1-0. Ciccio si è girato su se stesso in un secondo e ha spedito il pallone sotto la traversa. È stato un gol incredibile, un mix perfetto di tecnica ed esperienza. È stato grazie a quel gol che ci siamo salvati”.
Una rete che si trasforma in un biglietto da visita. Per quel ragazzo è arrivato il tempo di lasciare la provincia. Così la stagione successiva viene acquistato dal Bari di Antonio Conte. È Serie B, finalmente. “Il suo trasferimento al Bari ha lasciato stupito solo chi non conosceva il suo valore – dice ancora Doria – Noi eravamo tutti sicuri che avrebbe fatto strada. Io personalmente mi aspettavo di vederlo in Serie A prima o poi. Era di un’altra categoria. Anche umanamente. Mi ricordo quando sono tornato da quell’infortunio al ginocchio che per me è stato l’inizio della fine. Lui ha iniziato a correre verso di me e mi ha abbracciato. Anche se in quel momento eravamo rivali, lottavamo per una maglia da titolare”. Un gesto spontaneo per un ragazzo che in carriera aveva conosciuto più salite che distese.
Perché per molto tempo Francesco Caputo è stato un ragazzo (e un centravanti) normale. Anche troppo. Fisico nella media (181 centimetri per 74 chili), rapporto con il gol nella media, tecnica nella media. Un identikit che rischiava di trasformalo in un fantasma per gli scout delle grandi squadre, di imprigionarlo in provincia. Di straordinario aveva solo l’impegno, quel fuoco che lo spingeva a migliorarsi. Giorno dopo giorno. Goccia di sudore dopo goccia di sudore. Fino a strappare la convocazione in Nazionale. A 33 anni. La migliore ricompensa per un ragazzo che ha rischiato di smettere. Per due volte. La prima a 16 anni, quando giocava nel Toritto. Il Grosseto lo voleva acquistare ma le due società non avevano trovato l’accordo. Ciccio si era chiuso nella sua stanza e aveva pianto. Poi non si era più presentato agli allenamenti e aveva iniziato a lavorare insieme al padre come muratore. Per convincerlo a tornare a giocare servono settimane intere.
Poi arriva il Melfi. Caputo si aggrega alla squadra in ritiro ma poi fa marcia indietro. Non se la sente di vestire quella maglia. Anche perché lui è un attaccante e lì lo fanno giocare in difesa. Dopo il Noicattaro arriva il Bari. La squadra che gli faceva battere il cuore da ragazzino. È l’inizio di un ping pong: dopo una stagione passa alla Salernitana, poi torna a Bari dove assaggia la Serie A prima di tornare in prestito: sei mesi a Siena. La sua maturazione è quasi completa. Stavolta torna fra i galletti per restarci. Nella sua seconda stagione segna 17 gol. Un’enormità. Ma quando gli sembra di vivere un sogno, ecco che tutto prende i contorni dell’incubo. Nel 2013 Caputo cade nell’abisso: viene squalificato per 3 anni e mezzo per frode sportiva. Le accuse vengono derubricata a omessa denuncia, la squalifica viene prima ridotta a un anno e poi cancellata dall’assoluzione. Un’eternità. Sembra la fine. E invece L’attaccante torna e inizia lì da dove ha lasciato: il gol. Ancora al Bari, poi alla Virtus Entella.
L’esplosione arriva a Empoli. Prima 26 gol in B, poi la Serie A conquistata a 31 anni. I toscani si inabissano nonostante i suoi 16 gol. Così arriva il Sassuolo. “Caputo nel suo ruolo è un professore, non ci sono molti attaccanti italiani più forti di lui”, dice il suo allenatore Roberto De Zerbi. Ed è vero. In Serie A segna 21 reti (con solo 2 rigori). Un bottino che gli apre le porte della Nazionale dove Ciccio potrebbe esordire questa sera contro la Bosnia.