“Siamo un gruppo di amici che si vuole confrontare, in concreto, su una vigna”.
“Halarà in greco vuol dire con calma”.

Halarà è un progetto di sei produttori amici, una vigna presa insieme a Marsala; due i vitigni, Catarratto e Parpato, e tre i vini prodotti il primo anno: un bianco ancora nei tini e un rosso e un rosato usciti a maggio sul mercato.

Era da tempo che volevo andare da Nino Barraco, produttore di riferimento della zona, noto e stimato per essere stato uno dei primi ad aver iniziato a (ri)lavorare con vitigni autoctoni, con pochi o nulli solfiti aggiunti e rifiutando prodotti sistemici di origine chimica; ma soprattutto conosciuto per i vini buoni. Arrivata la notizia di questo progetto comune sono volata a Marsala, pochi giorni prima della seconda vendemmia.

A fine agosto si ritroveranno in Sicilia per il raccolto: il padrone di casa Barraco; gli altri due siciliani: Giovanni Scarfone (Bonavita, Faro) e Francesco Ferreri (Tanca Nica, Pantelleria); i marchigiani Corrado e Valeria Dottori (La Distesa, Cupramontana), Francesco De Franco dalla Calabria (A’ Vita, Cirò) e Stefano Amerighi (Cortona, Toscana).

Sono tutti riferimenti dei propri territori, e ormai nazionali, e non stupisce che il progetto abbia attirato da subito molto interesse, con i vini terminati in poche ore, sulla fiducia.

Ma lavorare insieme per ottenere vini buoni, che siano una sintesi e non una sommatoria, non è certo automatico, dopo anni spesi da ognuno a cercare di migliorare, definire e consolidare il proprio stile personale. Più del primo risultato, m’incuriosisce per questo vedere come vini e scelte produttive cambieranno negli anni. Penso che questa piccola vigna avrà conseguenze sul metodo di lavorare di tanti giovani, che a questi produttori s’ispirano.

“Volevo da tempo fare qualcosa al sud – mi dice Dottori per telefono – È molto interessante confrontarsi su un vigneto ‘mediterraneo’, come lo chiamiamo noi; soprattutto per me e Amerighi che arriviamo dal centro; tutto è da rivedere in base a questo territorio estremo”.

Arrivata a Trapani, ho noleggiato una bici e ho incontrato Barraco poco distante dalla sua cantina; abbiamo caricato la bici nel portabagagli e siamo saliti fino a Contrada Abbadessa, dove si trova il vigneto.

Esposizione a nord, il mare in lontananza e la valle aperta davanti; silenzio, vento e sole. Le pale eoliche sulla collina di fronte rispondono alle domande sull’eccezionalità o la costanza del vento. Il movimento di aria è determinante in vigna, per evitare i funghi e limitare i trattamenti. Il terreno argilloso è ricco di sostanza organica; “vedi la vigoria delle foglie – mi dice Barraco – abbiamo iniziato a lavorare per cercare di limitarla. Per ogni operazione ci mettiamo davanti alla pianta. Bene, che cosa facciamo adesso? E lo decidiamo insieme; non a maggioranza, ma insieme. E così in cantina”.

La potatura è stato uno degli argomenti più dibattuti; ma anche i tempi di macerazione, la pressatura, la vinificazione con o senza grappolo intero… E immagino molti altri confronti: “È per me molto interessante anche il dibattito su cosa voglia dire fare vino naturale qui – continua Dottori – il suolo richiede molte operazioni opposte ad alcune pratiche da protocollo, come inerbimenti o sovescio; dimostrazione che alla fine questi protocolli sul naturale non significano niente. Il territorio ti dice cosa devi fare”.

Rientriamo in cantina e assaggiamo il rosso “il vino degli amici, semplice, spensierato, senza troppe sovrastrutture”, lo descrive Barraco. Lieviti indigeni, solo acciaio. Un vino fresco, tra amarena, frutti rossi e leggera speziatura. Lontano dai rossi più ‘impegnati’ come la Syrah di Amerighi o il Cirò di De Franco. Un vitigno poco diffuso, ancora da capire: “Lavorare con il grillo a 600 metri sul livello del mare piacerebbe a tutti, ma è bello e intrigante confrontarsi con qualcosa che vai a valorizzare e che conosci poco, a cui devi far prendere la sua strada. Ci siamo rimessi tutti in discussione; siamo partiti tutti da zero”.

La retroetichetta cita lo storico Fernand Braudel: “Che cos’è il Mediterraneo? Mille cose insieme. Non un paesaggio, ma innumerevoli paesaggi. Non un mare, ma un susseguirsi di mari. Non una civiltà, ma una serie di civiltà accatastate le une sulle altre”.

L’etichetta invece è una bambina che rincorre un cappello nel vento, con un mulino sullo sfondo. Non ho chiesto se il mulino sia per ricordare quelli delle saline dello Stagnone, o per altre ragioni.

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

Marc Veyrat, la Michelin gli toglie una delle sue tre stelle e lui porta la Guida in tribunale ma perde la causa. “Mai messo il cheddar nel soufflé”

next