di Diego Battistessa*

La Colombia ha inghiottito Mario Paciolla. Come cooperante piango la morte di un collega che ha impegnato la sua vita e la sua libertà a favore di chi libero non è. Come analista in questioni latinoamericane non mi rimane che constatare come la Colombia continui ad essere un mix esplosivo di violenza, corruzione e impunità. La vicenda di Mario ha tutti gli elementi di una trama già vista, di un meccanismo che troppe volte ha messo a tacere voci e testimonianze scomode.

Fuori dall’immagine di un paese impregnato di realismo magico che abbiamo imparato a conoscere dai capolavori di Gabriel Garcia Marquez, esiste un territorio complesso e conteso, pieno di sfumature e conflitti, una sintesi perfetta di tutte le sfide che l’umanità sta attraversando.

Violenza di genere, narcotraffico, disuguaglianze sociali e discriminazione etnica, abusi da parte delle forze dell’ordine e dell’esercito, corruzione multilivello, crisi migratoria (cittadini colombiani sfollati per i conflitti interni e due milioni di venezuelani arrivati nel paese), crisi ambientale, continue uccisioni dei difensori della terra, land grabbing, persecuzione delle popolazioni indigene, gruppi paramilitari, guerriglia dell’Esercito di Liberazione Nazionale (Eln), dissidenti delle Farc-Ep ( Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia – Ejército del Pueblo), tratta di esseri umani e profonda crisi della leadership politica – oltre alla pandemia mondiale da Covid-19.

Fa male osservare come non sia cambiato molto da quando per la prima volta nel 2013 mi trovai a lavorare su progetti finanziati dall’Unhcr nelle zone di intervento e influenza del fronte 48 delle Farc-Ep. In quel periodo gli accordi di pace, poi siglati tra il Comandante Timochenko e il presidente Manuel Santos all’Avana alla fine del settembre del 2016, erano ancora lontani e insieme a colleghi e colleghe cooperanti si affrontavano scenari incerti che vedevano 6,5 milioni di sfollati, tra cui 600 mila persone che avevano abbandonato il paese per cercare rifugio all’estero.

Santos, che fu il ministro della difesa dell’ex presidente Alvaro Uribe (oggi agli arresti domiciliari) e che fu uno dei più acerrimi nemici delle Farc-Ep, aveva iniziato il suo mandato presidenziale pochi anni prima (2010) promettendo grandi cambiamenti. Gli accordi di pace però non hanno fermato la guerra né hanno silenziato le armi. Se da un lato la dirigenza delle Farc-Ep è riuscita in parte a fare incursione nella sfera politica (con risultati ben sotto le aspettative), dall’altro l’Eln ha ripreso forza e intensità, alimentato da una politica del muro contro muro dell’attuale presidente, il filo-uribista Iván Duque.

La stessa politica autoritaria, di repressione sociale, e irrispettosa degli accordi di pace che ha portato numerosi ex combattenti delle Farc-Ep a imbracciare di nuovo le armi. La presidenza di Duque si è caratterizzata fino ad ora per la totale noncuranza delle rivendicazioni delle parti sociali, dell’apertura allo sfruttamento selvaggio da parte delle multinazionali delle risorse naturali del paese e dalla mano dura nei confronti della dissidenza armata.

L’esercito ha ricominciato dunque quelle operazioni di violenza indiscriminata che hanno portato ai processi dei falsi positivi e a numerosi atti di barbarie come l’uccisione volontaria, il 29 agosto 2019, di 7 minorenni che erano stati da poco forzatamente reclutati dalle Farc-Ep in un campamento a San Vicente del Caguán, nel dipartimento del Caquetá. In questo contesto dobbiamo immaginare il lavoro zelante e professionale di Mario, cooperante esperto, che proprio all’evento di San Vicente del Caguán ha legato il suo destino.

In quell’estate del 2019, con molti colleghi universitari che avevano seguito da vicino e partecipato agli accordi di pace, osservavamo con apprensione la ripresa degli scontri. Avevo realizzato pochi giorni prima un lungo viaggio di lavoro a Bogotá per monitorare la situazione dei migranti venezuelani nel Paese e la tensione economica e sociale, che poi sarebbe sfociata nelle proteste di novembre 2019, era già palpabile.

All’inizio di settembre 2019 la notizia del bombardamento faceva il giro del mondo e cominciava così a districarsi un fitta trama di interessi, ricatti, filtrazioni, corruzione e tentativi di insabbiamento che ci riconducono tragicamente a Mario Paciolla.

Per capire le cause della sua morte dobbiamo quindi capire un paese sanguinante, dove anche l’Onu sembra nascondersi dietro un muro di omertà ma dove esistono ancora giornaliste coraggiose come Claudia Julieta Duque, che lottano contro l’impunità. Posso solo sperare che il sangue di Mario, così tragicamente versato, sia seme di verità e giustizia per tutte le vittime di quella terra assetata di pace.

*Docente e ricercatore dell’Istituto di studi Internazionali ed europei “Francisco de Vitoria” – Università Carlos III di Madrid. Latinoamericanista specializzato in Cooperazione Internazionale, Diritti Umani e Migrazioni. www.diegobattistessa.com

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